giovedì 15 marzo 2007
Non era nessuno… (Andrea Parato)
Francesco ne ha viste di cose. Il paese povero, la guerra
quando era ancora ragazzo. È cresciuto in fretta. a
diciassette anni guidava già i camion per l'esercito:
quante bombe sulla testa! Camion pieni di cibo per i
militari come lui, tutti ragazzotti sparsi per l'Italia. Una
volta è partito per la Sicilia scortato dai tedeschi ed
è tornato a Roma accompaganto dagli americani. E così si
è preso un foglio con scritto sopra in una lingua
sconosciuta: alleato e liberatore. Ma non ha mai ucciso un
uomo. E poi è tornato a casa, dove c'era bisogno di
ricostruire. Nella campagna, nella casa contadina, dopo aver
visto il mondo e la capitale. E ha costruito, per sé e per
Teresa, ha piantato file di cipressi e pini e pioppi che
sono cresciuti e diventati alti, imponenti e vecchi, nelle
case dei vicini. Così Francesco ha vissuto con Teresa e ha
continuato a guidare il camion per portare mattoni per
costruire altre case. E ha continuato a zappare la terra,
mentre tutti gli dicevano che poteva fare altro che togliere
le erbacce con le sue grandi mani nude. Non era nessuno… E
la vita scorreva placida e onesta, con il saluto in piazza e
la messa la domenica. Uomo giusto, dicevano alcuni. Ma
questo non basta per evitare la sofferenza: una figlia
giovanissima, prima vittima di un male che avrebbe poi
colpito tante ragazze. Una figlia sparita senza nenche
capire il perché della malattia. E Francesco non borbotta,
non impreca. Conserva tutto nel suo cuore, che un giorno,
troppo affranto, cede e si ammala. Nessuno se ne accorge, e
lui continua a zappare e seguire il ritmo delle stagioni.
C'è un'altra figlia, ci sono i nipoti da tirare su. E una
esistenza quotidiana convissuta col dolore. Ma Francesco,
vecchio ulivo, asciutto come il noce, grinzoso come la
terra, continua il suo lavoro nel campo, con la pioggia e
col vento. Una mattina come le altre, sente che le gambe non
lo reggono più: ha ottantaquattro anni, e non pronuncia un
lamento. Solo una lacrima gli sfugge dagli occhi. Il resto
è come un sogno, un mese di ospedale, incoscente e
immobile, una lotta a guadagnare il respiro, senza un grido,
a volte con un sorriso ingenuo da bimbo sdentato.
Francesco era mio nonno. Mi ha visto crescere, mi ha
insegnato a non temere il silenzio e a parlare con gli
alberi. Quando affrontavamo un lavoro impegnativo o
sgradevole storceva il naso aquilino, poi mi diceva: "ah
di', cosa ci vuoi fare?", si rimboccava le maniche e si
metteva al lavoro.
Pubblico voltentieri questo sobriamente intenso, partecipato e bel ricordo di Andrea Parato
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