venerdì 9 gennaio 2009

Su Vorrei imprimere un vuoto nell'aria di Carlo Penati


recensione di Alberto Mori

Spesso nell’arte contemporanea si cerca il Site Specific, per estrarre dal luogo un'opera e porla immediatamente in correlazione con lo spazio.
Quanto più il lavoro rispetta sensorialmente l’ambiente scelto, tanto più assume da sé vita autonoma: per effettuare ciò, come anche esempla parte del titolo della plaquette di Penati, bisogna Imprimere un vuoto nell’aria, per far cogliere allo spettatore la vibrazione del senso anche nella sottrazione e rendere anche pochi elementi plastici segni viventi.
La poesia invece è volizione ancor più “volatile”:
Ama la presenza invisibile ed un corpo immateriale come luogo da sgravare con versi rarefatti, poiché la domanda del poeta: “com’è che la vita ha perso / all’improvviso / ogni grande fine?” (p. 27) addentra ed anela più sottilmente all’altro lato della parola, ad una forma semplice ed un silenzio specchiante.
Un incontro dove essere ed apparenza sono immagati nel bosco.
“Mi scoprivi con sguardo di gioia, / quando soli con il sonno del bosco / vegliavamo una
attesa senza meta” (p. 65).

Veglia, estasi, rapimento, deriva, sono le conduzioni alterne di questo libro, percorso da un sentimento abbandonico e da un respiro della memoria, la quale ripercorre, in brevi epifanie, il tempo che non è più.

L’aereo del libro, oggettualmente traccia di sicura rotta del verso Lufthansa e pure piacevole Hub di scalo nel viaggio Pan Am del senso, è qui l’ “aereo” aggettivale: Danza che ha “braccia come ali” per citare Ungaretti. Nessun piede visibile, ma energia incisa con la levità del simbolo che l’autore emette alla libertà dell’infinito.

Le quattro stanze di Vorrei imprimere un vuoto nell’aria si muovono sia orizzontalmente
che in verticale e nei loro spazi, troviamo la figura dell’angelo e quella della natura
onirica come punti di raccordo dialogici e di figurazione psicologica.
L’angelo è l’altra parte impressa del vuoto.
La sua assenza mette in comunicazione con noi stessi e la nostra interiorità.
La natura onirica materiata da sonno, estasi, rapimento, crea quell’atmosfera dove la
luce interiore e quella del giorno hanno reciproche corrispondenze.
Questi raccordi, unitamente alla tensione complessiva di trasfigurazione del corpo poetico,
rendono il libro una meta aperta, conforme ad uno Zenit arioso per l’autore, che ha cercato di aprire la sua anima con il lavoro della poesia.

Gennaio 2009




Nessun commento: