martedì 13 gennaio 2009

Su Falsomagro di Monia Gaita

Guida Editore, Napoli, 2008, pagg. 138

nota critica di Antonietta Gnerre

In Falsomagro, si evidenziano con particolare chiarezza le multiformi architetture che caratterizzano il pensiero poetico di Monia Gaita. Pagine dopo pagine l’Autrice costruisce con un ritmo avvolgente e con inappagata curiositas un percorso che solo in apparenza sembra un labirinto. Un tessuto in evoluzione caratterizza le giunture nascoste che custodiscono suoni e ritmi, sogni e verità – “Porta il broncio quest’ora/ in cui la solitudine/ dènsa più di colostro/ ha una camìcianòtte/ aspra di cicatrice/ d’invadènza” – ma anche respiri impauriti – “Pigiati come sardine/ elàstici di collant/ i miei pensieri” – che hanno bisogno di presentarsi al mondo attraverso una comunicazione mostrata con delicate trasparenze ed assottigliate ricerche. Una poesia che ci incuriosisce e ci sfida irresistibilmente mediante tagli secchi e asciutti che non congelano la mente. Pertanto, c’è molto da riflettere sulla scelta delle parole, perché in Gaita questa scelta è tracciata come una sorta di meditazione o/e di spiritus phantasticus che getta nei risvolti segreti e sotterranei quella sapienza che cristallizza l’anima nel verso “Con moltèplici giri/ bronzi monetifòrmi/ dolciastri di glicina/ di coraggio” oppure “Sulle gambute gru/ del desidèrio/ la pura lana garantita/ gustosa di stracchino/ larga come tinozza/ del formale”. A fare da filo conduttore all’intera silloge è dunque la parola che Monia esibisce come un passaporto per viaggiare nei minuti delle attese “(…) frizzanti di brachétto/ le tue parole/ dispari di valori”, parole che si racchiudono e si esemplificano nello spazio di questo lavoro ricco di allitterazioni e assonanze che dipanano l’idea sul foglio. Un lungo viaggio nei pensieri e nell’infinita confusione di questo tempo. Versi che ci riportano nella mente altri versi: “ Sapete bene quanto breve è il Tempo che ci è concesso/ E, una volta partiti, non ci sarà più dato di ritornare” (Omar Khayyàm, in Rubàiyàt). Tante sono le sensazioni e le emozioni che mi arrivano dalle poesie della Gaita. Poesia bianca-azzurra come la stella Sirio “Solo le stèlle/ si fanno agènti di custodia/ di bellèzza”. Stella perché ci sembra a tratti luminosa e a tratti distante. Nello stesso tempo visibile dall’infinito perché nel cielo della poesia occorre sempre guardare oltre. Perché è nella complessità che si riflette tutta l’esistenza “Serata/ in àbìto di gala/ nel galleggiare àvido/ di sugheri/ d’attèsa”. Attendere la poesia e il suo viaggio per impastare emozioni e tempo, ricchezza e pochezza, speranza e vita, aria e distanza. D’altra parte la poesia che cos’è? Franco Fortini, in un intervista apparsa pochi anni prima di morire affermò a tal proposito “che rispondere è come voler spiegare che cos’è l’uomo” o addirittura “che cos’è il mondo”.


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