giovedì 14 febbraio 2008

Camporesi, Solchi e Nodi

recensione di Alessio Brandolini
pubblicata nel blog I libri in testa
mercoledì, 13 febbraio 2008


Solchi e Nodi è il titolo dell'ultima raccolta poetica di Caterina Camporesi, uscita all'inizio di quest'anno e pubblicata da Fara. Pur diviso in due parti (la prima dà il nome al libro e la seconda s'intitola - rimanendo in tema - “Nodi del tempo”) questo lavoro poetico ha la sua peculiarità nella compattezza tematica e linguistica, e in tal senso è preferibile parlare di “libro di poesia” anziché di “raccolta poetica”, tant'è che i testi, tra l'altro, sono senza titolo e non hanno maiuscole né punti finali. Camporesi in Duende (Marsilio, 2003) aveva dato prova d'abilità costruttiva e, insieme, d'una sensibilità poetica femminile tesa a inserire nella lingua le tensioni (sia i fuochi che le docce fredde) della vita quotidiana, i desideri, le aspettative, le delusioni: lavorando molto sul verso, sull'essenzialità e i suoni delle parole. Qui c'è una continuazione in tal senso e il duende seguita ad agitare «acque di giada» e i riferimenti a García Lorca s'estendono alla cultura ispanoamericana (al «corazón de los Andes»), ma la ricerca porta l'autrice ad asciugare ancor più i versi, a renderli percussivi e taglienti, d'un suono più forte e vibrante, pur abusando, a volte, d'assonanze e alliterazioni o delle rime interne («indiviso divino», «malonda in malora»). Voglio dire che la musicalità di questa poesia tende a farsi stridula nonostante i tanti endecasillabi, o eccessivamente acuta, come se al canto a un certo punto venisse meno la giusta intonazione. Questo però significa che Camporesi ha coraggio da vendere: si mette in gioco, rischia, allarga lo sguardo alla «vita esiliata», in cerca d'una poesia che possa concentrare (e concertare) suoni innovativi, quelli che provengono dal profondo, dall'inconscio, dagli enigmi e dai misteri, dai buchi neri, dagli spazi inconsueti della solitudine che rimastica il vissuto con la «bocca spinata», dai silenzi (non esistono due silenzi che possano assomiglarsi), dalle «anguste catacombe», dai sogni.

Sarebbe banale chiudere con il dire che la poesia di Caterina Camporesi invita alla riflessione, perché leggere questo libro è annodarsi e scioglersi allo stesso tempo, tracciare un solco nella pagina bianca, nel pensiero, nel proprio cuore. Attraversare «il male in burrasca» (il male è uno dei temi riccorenti, così come quello dei misteri che circondano la vita, le cose, i gesti) con versi così acuminati e spinosi che poco s'aprono al canto, che nulla concedono alla facile sonorità lirica, che usano, come accade in molti compositori contemporanei, rumori e silenzi («rumori aperti al canto / in salti di luce nei corpi») e impastano «azzurro e fango», non consola né suscita emozioni “euforiche”, però molto aiuta a non disperdersi, ad allenare la memoria, a tenersi aggrappati con leggerezza alla vita, che «si colma / svuotandola».

*
salescende la luna tra calli e ponti
tesse mutamenti sciogliendo giuramenti

l'universo intanto invano stupisce
serrando il male in trappole d'inganni

*

sulla pagina bianca saettano flutti
dal male in burrasca

in urne di fuoco
si disseminano ceneri

si manifesta la vita
in versi fosforescenti

*
si fa mondo il girotondo
quando tutti cadono a terra

cala il silenzio
disperdendo gemiti

*

muore l'orizzone
sul molo dei millenni

rotolano idee in ogni dove
accerchiano indizi e insidie

opaco il mistero continua
ad imperare

*

allarga lo sguardo
la vita esiliata

si ricrea nelle celle del pensiero
sconfinando in distese d'abissi

*

un c(')ero malfermo
l'inverno

domande neonate in colte strofe
cercano nidi in spalancati cieli

aliti ghiacci condensano
impalpabili aurore

sepolte primavere
sollecitano millepiedi in tarlati prati

sospende la vita il suo dolore
in aiuole dove il fango si fa colore

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