domenica 28 agosto 2022

“… un tempo sottile in cui splendere ancora.”

Annalisa Ciampalini, Tutte le cose che chiudono gli occhi, peQuod 2022
Prefazione di Valeria Serofilli



recensione di AR

Proviamo a sostituire a “luce” la parola “poesia” nei versi seguenti che hanno per titolo Statica (p. 69): “La luce che non porti con te / si depone nelle cavità / cerca sguardi complici / attende / di essere tradotta. / * / C’è poi chi resta / nel punto dolce del richiamo / lo nomina / e indugia suo segno. / Questo crescere l’uno dentro l’altro / fino a coincidere.”

Non è una suggestiva descrizione dell’energia poetica latente in ogni anima? E non la troviamo, questa fonte sonora desiderante, anche nella chiusa – “La nube di pensieri che cresce, ci confonde / e traccia cammini / che non conosciamo.” – a p. 49? E nei versi iniziali – “Ora è quando nel corpo / vorremmo una superficie cava / fertile e sensitiva, che possa aprirsi / e diffondere / la luce che desideriamo?” – della poesia a p. 44?

In questa raccolta abbiamo una parola (già vista qui sopra) ricorrente che crediamo sia una importante chiave per immergersi nel mondo di Annalisa. La troviamo ad esempio (al plurale) a p. 14 (“I miei sono luoghi piccolissimi / punti di fuga / a stento trattenuti dalle foto.”), a p. 15 (“Il cielo è basso per noi / deserti i punti di ritrovo.”); al singolare a p. 68 (“Un punto materiale / che accende molecole d’aria.”, Cinematica), nella prosa a p. 55 (“All’improvviso ha preso forma un luogo di passaggio, un punto i cui poli opposti si avvicinano.”), a p. 31 (“I corpi sono statue / sotto l’occhio immobile del sole. / Non sentono il transito di luce / nel punto vivo del presente.”), a p. 21 (“… c’è un luogo in cui la luce arriva piano / il punto che ci guarda / e va taciuto.”)… Forse questo punto è un attimo rivelatorio.

È quella predisposizione a varcare vuote distanze. Quella attenzione a ciò che accade, all’altro (biunivocamente necessario e complementare) che rimanda a una verità costitutiva che ci interpella, ci distoglie da una atarassia di comodo, ci inquieta, ci apre le ferite mal rimarginate.

A questo punto ogni poeta è particolarmente sensibile. Ne percepisce la minima vibrazione, il baluginio più flebile, la voce più impalpabile eppure così capace di metterci a nudo. È un punto che ci ricorda quanto sia al contempo prezioso, limitato, unico il nostro grumo di verità. 

Assorbire il canto di Ciampalini è accrescere in noi la percezione della bellezza, constatare come il creato sia una trama inesauribile di sensi (in tutti i sensi della parola). Come il tempo sia un luogo-dono inestimabile, fuggevole e mai del tutto comprensibile. Eppure ciascuno di noi è un punto vivente che, se non si chiude in sé stesso, può fare con gli altri una splendida rete che abbraccia la realtà e può renderla più vivibile, gratificante, perscrutabile. Se ci disponiamo al reciproco ascolto, se consuoniamo con i punti vicini o con quelli che incontriamo quando i nostri cammini si affiancano o si intersecano, questa rete può diventare lo specchio sconfinato di un universo dove ogni cosa e ciascuno ha il suo nome, la sua dignità. Leggiamo ad es. la poesia a p. 20: “La mia preghiera è il tuo nome / pronunciato chiaramente / la constatazione muta e ripetuta / della cosa che ti sta accanto / e si oppone. / È cercare, tra tutti i pensieri, / quello che su di te si ferma. / È una preghiera che guarda e ricorda. / È la mia effimera presenza / e la tua ferita – viva / che non si cuce.”

Chiudiamo allora anche noi, ogni tanto, gli occhi, da svegli, e sentiremo quali profondità il sonar della parola poetica può farci raggiungere: “un tempo fuori campo / in attesa / un sangue scuro, maggiore / che si oppone alla morte.” 

Così si chiude la poesia a p. 26 da cui è tratto il titolo del libro, mentre il titolo di questa recensione è tratto dall’ultimo della poesia a p. 17 il cui incipit è “L‘inverno sarà qui tra poco”.

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