sabato 16 gennaio 2021

Di quell’ora mai promessaci di grazia: poesia come accelerazione dei sensi e del pensiero

recensione/intervista di Giovanni Fierro pubblicata in Fare Voci gennaio 2021
Voce d’autore ———————

Di quell’ora mai promessaci di grazia

Francesco Filia, L’ora stabilita

di Giovanni Fierro

Forse è questo il punto da cui ripartire. Il momento rinnovato e da tenere vicino in cui mettere le nuove parole di cui avere bisogno. A cui dare fiducia.
È proprio L’ora stabilita di Francesco Filia, questo invito a vivere la poesia come strumento che testimonia l’innesco dello stare al mondo. L’attrito che crea la prima luce, la più intensa e la più naturale, il primo passo, per iniziare un nuovo sguardo, un possibile sapere “l’esatta misura che separa/ ogni vita/ dal suo urlo”.
Il centro a cui ritornare, per ricordarci che siamo esseri umani, bisognosi di desiderio e riconoscimento, di chiamata al mondo e di ritrovarci “dove l’attesa è/ l’orizzonte, l’estate/ di tramonti e balconi, l’attimo/ senza tempo”.
Il lavoro di Francesco Filia in questo libro è quello di costruire un presente che tutto contiene, un diaframma a cui affidare la propria presenza, da condividere e da difendere.
Certo, non è un facile vivere, queste righe sanno quando è “il tempo/ di restituire l’ombra/ che ci ha legati/ a noi stessi”. E qui è la crescita, il momento dello scarto in avanti, la definizione di sé come identità. Ma che può finire, che finirà.
Queste poesie sono corpo, bisognoso di carne e pensiero, per dire che si è “qui,/ dove l’attrito/ dell’aria prova,/ di nuovo, che/ esisto”. Anche per sentire su di sé il tempo del tempo.
Francesco Filia riconosce l’uomo, lo mette al centro della sua ricerca, non solo poetica, ne riconosce le attese e le disillusioni: “Giuro/ su quel che non può/ cambiare”.
Dà forza “L’ora stabilita”, perché ci racconta di uno stare in piedi, di fronte a se stessi, di fronte a quello che potremmo essere, di fronte a quello siamo; di fronte a quello che sarete.
La pietra scagliata nei millenni/ scompare nel nero di un’acqua”, dove adesso nuotiamo, dove ci immergiamo?
La poesia di Francesco Filia toglie, non aggiunge mai. Il suo è un levarsi dalla superficie. Il suo è il rimuovere l’inerzia che da troppo tempo ci copre. Finalmente. E senza conoscere la resa.

 


 


Dal libro:

Il fronte
nero del giorno
cade
ai miei piedi
in macerie
e cumuli che non
potrò aggirare,
invece, scavare fino
a un grano
di sale, di
luce, di vita apparsa
di nuovo.

*

Scambierò
gli occhi
con questo buio che incombe
per cogliere il bordo
nascosto degli oggetti
il filo, spezzato,
che li unisce
a quel che non muore.

*

Non è nostro
il calmo
furore
della terra
l’immenso di
lampi e silenzio
la mano
che afferra
la ringhiera e trema,
non è nostro nemmeno
questo finire.

*

Forse
era giusta
l’altra
di vita, non
questa,
o forse è giusto
rimanere
nel bivio
di questo giorno.

 

 

Intervista a Francesco Filia

L’ora stabilita è un libro intenso. Che fa il punto su questione fondamentali. Ad esempio, come si legge nella nota finale, che questo lavoro vuole fare i conti “con le ferite aperte e irrisolte che il mondo e l’esistenza sono”. Cosa significa questo proposito?
L’esistenza mi è sempre apparsa – sia quella individuale che quella collettiva come l’esistenza del mondo stesso – un enigma, qualcosa di profondamente inquietante per il solo fatto di esserci.
Questo sgomento, in alcuni casi terrore, in me si è presentato sin da piccolo nella percezione del mondo intorno a me, delle cose, degli oggetti che mi sembravano qualcosa di imperscrutabile e nelle sensazioni che essi suscitavano in me.
Questo magma di percezioni, stati d’animo vissuti, diventando parola, anziché chiarirsi, si è amplificato nella sua insondabile enigmaticità. “L’ora stabilita”, che è un testo che ho scritto in più di un decennio, è il tentativo di restituire in maniera asciutta e netta questa dimensione, per me, costitutiva.

E l’usare la poesia come strumento per farlo?
L’idea centrale del mio approccio alla poesia, che ho chiarito a me stesso solo negli anni, è che la poesia è un’amplificazione e un’accelerazione della percezione estetica e del pensiero.
La parola poetica deve amplificare sia la percezione dei sensi sia la dimensione invisibile del logos, anzi è l’incontro necessario e ineludibile tra queste due facoltà, è un fare che oscilla vertiginosamente tra il dettaglio irripetibile del percepire e l’universalità del sillogizzare, senza mai essere nell’uno nell’altro, ma essendo solo e misteriosamente sé stessa.

L’impressione è, poi, che il libro sia un ‘qui ed ora’ che tutto contiene, in cui tutto si costruisce e che ha il desiderio di trovate un ‘qualcosa’ a cui affidarsi… può essere così?
Il ‘qui ed ora’ per me è la verticalità dell’attimo, in cui si arresta momentaneamente il flusso indistinto del divenire e ogni gesto diventa, pur nella sua irrisoria transitorietà, definitivo, nel ‘qui ed ora’ ogni gesto dice il miracolo dell’iniziare e lo sgomento del finire.
E forse la parola poetica è l’elemento che permette l’intensificazione dell’attimo che s’ innalza per un istante solo, appunto, dall’insignificanza del flusso indistinto delle cose e lo comprende nella sua inquietante gratuità.
Forse l’esperienza del bello si annida proprio nel ‘qui ed ora’ della forma e nella constatazione della sua perenne fine.

Le parole che fanno vivere queste poesie sono nette, quasi come quando si lavora ad una scultura, in cui è il togliere il lavoro necessario, per arrivare alla sostanza, al necessario, al nervo…. È solo una mia impressione?
Sì, è così. In questo libro più che in altri, dove invece ho anche proceduto per accumulo come nel poemetto “La neve”, la parola si è presentata in maniera scarnificata, in un processo di riduzione e scolpitura fino a giungere alla pietra viva del ‘dire’.
Sentivo la necessità del testo lapidario, nel senso etimologico della parola, come se il testo poetico si dovesse presentare sotto forma d’epitaffio. Non so se ci sono riuscito fino in fondo, ma il compito che sentivo di dover portare a termine nel libro era questo, anche se poi i libri di poesia vanno oltre le intenzioni del poeta e il loro fascino è soprattutto in questo tradimento.

C’è sempre un ‘equilibrio’ (difficile, mai scontato, anche doloroso forse…) tra questa vita e una vita altra, che più volte viene nominata. Questo costruisce una tensione, che penso sia la forza del libro. Che tensione è? Qual è la sua natura e come si manifesta?
La vita si presenta in una duplice veste: quella che è e quella che vorremmo che sia, lo iato tra questi due estremi mi sembra essere l’essenziale della vita, un essenziale, contraddittorio e agonico, nel senso pieno del termine, e direi irrisolvibile.
L’equilibrio, se c’è, è nella tensione mai del tutto risolta tra le forze opposte che si urtano e si scontrano, che rischiano di dilaniarci e annientarci. La parola non salva né risolve lo scontro, ma nel dirlo lo rende, forse, per un attimo, trasparente, puro.

L’ora stabilita ha luce in ogni pagina. È forse questo attrito che si avverte tra le due vite sopra citate, tra ogni ‘prima’ ed ogni ‘dopo’, tra l’io e il tu, a creare e ad accendere il chiarore utile a vivere e vedere ogni possibile manifestazione dell’esistenza?
L’attrito è generato da una forza che si oppone al movimento, è da questa opposizione di forze che si genera energia, la dispersione della forza dinamica in calore.
Penso che se trasliamo metaforicamente questa definizione fisica, la situazione detta nel libro mi sembra essere proprio questa. È l’attrito dell’esistenza con il mondo che rende vera ogni sua manifestazione. L’ora stabilita insiste anche, forse soprattutto, sull’aspetto di dispersione dell’attrito, su ciò che si perde senza rimedio, ma anche su quel poco che si conserva e che, in casi ancor più rari, si trasforma e genera nuova forza, nuova energia, luce.

Pagina dopo pagina, comunque, tutto ciò che si legge è un attestato di vita. Niente è sconfitta, niente è abbandono. C’è una pienezza dell’esistenza umana. Pur nelle difficoltà e nelle fragilità evidenti dello stare al mondo. Mi sbaglio?
Come prima ho accennato la pienezza dell’esistenza umana è nella sua dimensione agonica e irrisolta, l’uomo, per rifarsi alla sapienza tragica, è un enigma per se stesso, enigma che è, al tempo stesso, la sua condanna e la sua dignità. La parola poetica è per me il luogo in cui questo stato di cose si manifesta pienamente, senza mai risolversi.
La parola poetica diventa luce che però non può non fare i conti, in un corpo a corpo mortale, con il buio che le è sempre dappresso, come non può e non deve liberarsi del silenzio che l’origina e a cui ritorna implacabilmente.

E poi, in conclusione, a leggere il libro si vive un ‘chiamarsi al mondo’, un appello a se stessi per esserci, in questo presente. Può essere anche questo?
La poesia come la filosofia – che, insegnandola, è l’altra attività che occupa il mio tempo – ha una dimensione, per rifarsi a Nietzsche, di inattualità, è sempre fuori tempo, la poesia che segue il contemporaneo o l’attualità ne viene stritolata condannandosi all’insignificanza.
E invece, per contrasto, se la parola poetica riesce a trovare e a custodire una propria voce, un proprio luogo da cui dire il mondo, in ascolto sia delle voci che l’hanno preceduta sia di quelle che l’accompagnano, può a sua volta aprire un mondo se non addirittura, ma questo penso sia solo dei grandissimi, prevederlo e predirlo. Nel mio piccolo la chiamata al mondo de “L’ora stabilita” è un essere di guardia della parola poetica, sui cenni e i frammenti che il tempo e la vita ci consegnano. Un essere di guardia senza speranza né timore.

 

L’autore:
Francesco Filia vive, insegna e scrive a Napoli, dov’è nato nel 1973. Sue poesie sono presenti in numerose riviste e antologie, tra cui “Subway – Poeti italiani underground” a cura di Davide Rondoni (NET, 2006) e “Il miele del silenzio” a cura di Giancarlo Pontiggia (Interlinea, 2009). Ha pubblicato i poemi “Il margine di una città” (Il laboratorio, 2008), “La neve” (Fara editore, 2012, vincitore del concorso “Faraexcelsior” 2012), “La zona rossa” (Il laboratorio 2015); la plaquette “L’inizio rimasto” (Il laboratorio, 2017) e la raccolta “”Parole per la resa” (CartaCanta, 2017). Lo scorso anno ha pubblicato il volume di saggi “Corpo a corpo con i poeti del ‘900“, edito da Fara.
È redattore del LITblog Poetarumsilva.

(Francesco Filia “L’ora stabilita” pp.80, 10 euro, Fara editore 2020) 

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