Giancarlo Baroni, I nomi delle cose, puntoacapo 2020
con una nota di Ivan Fedeli
recensione di AR
Mi salgono alla mentre tre aggettivi per descrivere questa raccolta di Giancarlo Baroni: sagace, esiziale, umanistica.
Sagace per il fiuto che porta il poeta nell’intersezione delle cose, dei sentimenti e delle azioni; esiziale perché si tratta spesso, in maniera più o meno esplicita, di morte e disgregazione/trasformazione; umanistica per l’amore all'arte, al bello, alla natura, alla intelligenza umana. Il libro si apre con la sezione “La polvere di cavalieri amici” la cui prima, splendida poesia, esprime il desiderio dell’uomo di dominare e nominare gli elementi naturali (cfr. Gn 2,19): “Montagne laghi fiumi / mano a mano che procede li battezza / con i nomi della sua lingua. // Da domani sarà proibito / chiamare le cose in un altro modo.” (I battesimi del conquistatore, p. 9). Si parla di guerre, conflitti, conquiste, intrighi, enigmi, costrizioni, libertà: “Bussi e non fa rumore / tiri e non ha maniglie // infili la chiave ma non c’è la toppa / l’attraversi ma non si entra.” (Uscio, p. 25); “quando meno te lo aspetti / quando vorresti nasconderti / dietro un riparo inesistente // quando non te ne importa niente / rannicchiato nell’angolo / in piedi al centro della cella.” (Ti osservano:, p. 36).
Come si può notare la scrittura è nitida, icastica, sempre in tensione chiaroscurale. La seconda sezione porta il titolo “Un seme fra le mani” e ha molteplici riferimenti alla fine della nostra esistenza umana: “Quel che diventeremo lo sappiamo / non serve aggiungere. La terra / seppellita altra terra la trascina / fino a svegliarci. (…)” (Quel che diventeremo, p. 43); “Ti seppelliamo con un seme fra le mani / spunta dal suolo germoglia cresce / ti fa ombra d’estate // le fogli ti coprono in autunno / lo battezziamo col tuo nome gli parliamo.” (Un seme fra le mani, p. 51).
“La partenza del padre” consta di una sola poesia che termina così: “Da quando ti sei placato / corre l’anima dentro la stanza.” (p. 55).
Seguono la sezione “Le arpie in pesci” (“… verso il buio le cose // si dirigono naturalmente / ma dalla vita nascono / per caso per miracolo.”, p. 60), “Siete voi che amiamo” (“Le ragazze portano dei mondi sulla testa / e nelle tasche dei sogni”, p. 68), “Solo chi rasserena amo” (“Fu invece troppo lento / il suo passare, e lungo / lo sguardo: lui
a cercare altrove / io la mia pace.”, L’ipotesi di un sogno, p. 78).
Abbiamo poi due sezioni finali più ampie (in particolare l’ultima): “L’amore ha la stessa verità” ha poesie composte di due distici dedicate ad autori e personaggi letterari (“Non sono altro che letteratura / per cui la vita d’inaudita pena // si riempi e di un’enorme tortura, / lasciai con queste iperboli Milena.”, K., p. 84) e “Le trappole di Rauschenberg” dedicate all’arte con poesie davvero immersive che colgono tratti essenziali delle opere che “esprimono” con il colore del suono e il flusso del pensiero: “Il finito comprende l’infinito / l’eterno si fa uomo // Gesù crocifisso scheletro di Adamo.” (L’umanità di Masaccio, p. 92), “Cristo qui sei per noi fratello nel dolore / hai le labbra spalancate ma non riesci / per il tormento a urlare / le spine conficcate nella testa // i piedi rattrappiti parlano del tuo strazio / vedi con gli occhi chiusi e sai / il male che proviamo come il tuo / calvario è la nostra vita quotidiana …” (Davanti all’altare di Grünewald, p. 96) e si potrebbe continuare a lungo nel citare, ma lasciamo al lettore il piacere di assorbire direttamente dal libro sensazioni e vibrazioni dell’anima sommessamente potenti e inquiete.
Un libro ricco di immagini, domande sospese, musica che ricorda il minimalismo di Satie in grado di sollevare con efficace pervasività le zolle d’ombra e curare con l’intensità di un silenzio avvolgente le nostre crepe, esprimendo amore e nostalgia per l’umano così prezioso nella sua fragilità.
PS I versi scelti come titolo a questa recensione chiudono la poesia Quel che diventeremo.
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