venerdì 27 dicembre 2019

La cognizione del poeta

L’ORA STABILITA di Francesco Filia, Fara Editore 2019

recensione di Gian Ruggero Manzoni

http://www.faraeditore.it/vademecum/31-Orastabilita.html

Francesco Filia vive a Napoli, dov’è nato nel 1973. Insegna filosofia e storia in un liceo cittadino. Si interessa prevalentemente di filosofia, poesia e critica letteraria. Suoi scritti sono presenti in numerose riviste e antologie. Ha pubblicato i poemi Il margine di una città (2008); La neve (2012, vincitore e finalista di diversi premi nazionali); La zona rossa (2015); la plaquette L’inizio rimasto (2017) e la raccolta “Parole per la resa” (2017). È redattore del LITblog Poetarumsilva. Dalla sua ultima raccolta: “L’ordine delle strade e dei visi, è questo / che ci farà impazzire: come riconoscere / la regola degli elementi, la logica di un gesto / di un assioma calato come mannaia / su pensieri divenuti passi sospesi / eco dell’asfalto. Ecco i miei occhi / sbarrati nel vuoto, spalle al muro”. Così l’editoriale che accompagna la pubblicazione: “L’ora stabilita è l’ora del morire e del poetare, l’ora tragica, l’impatto tra il contingente e la necessità, l’istante in cui ogni vita fa i conti con sé stessa. L’ora in cui, al di là di ciò che vorremmo, si conosce quel che si è. L’ora in cui l’enigma del mondo, dell’uomo, del desiderio e della ragione, che lo abitano, diventano parola”. Sempre dalla raccolta: “S’incontrano caso e destino / in un dettaglio fuori posto. Lo vedi / nell’apice di ogni cosa: / nel camminare lento di un passante / nell’arrendersi di uno sguardo / al suo riflesso / nel persistere di una mano protesa / verso il baratro. Si scontrano / ci tendono ci spezzano si mostrano / eterni e senza volto”. L’essenzialità, la concentrazione sul verso, libero, ma sostenuto con cognizione, certe scarnificazioni, l’altro e gli altri, Napoli, o, almeno, quelle atmosfere, guidano la penna di Francesco Filia. Lui di sé dice: “Ma il mio dettato poetico non sempre è stato così, in me è come se agisse un doppio pedale versificatorio. In libri precedenti ho sentito l’esigenza di dilatare il verso, in alcuni casi sino a sfiorare la prosa. Anche qui, a volte, in funzione della ‘cosa’ da dire, o, meglio, la ‘cosa’ si è presentata con quel dettato, con quel respiro”.

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