Enrico Ratti, Blasfemie, Gilgamesh 2019
recensione di AR
“… e i miei versi trascinano le selve, / deviano i corsi dei fiumi / e muovono a pietà / perfino la Morte.” – così proclama Orfeo nella splendida poesia/poemetto Il colore oscuro dello specchio (p. 113) che appunto riflette l’anima lirica di Enrico Ratti, liricità di cui riportiamo alcuni lacerti qui di seguito: “Tu eri molto più che graziosa / tu eri bella come lo squillo dei tuoi sì / nei gelidi mattini pieni di caffè bollente e di nebbia.” (Numeri, p. 94); “Ora, nei campi, tutto è così silenzioso / che può sembrare una bestemmia.” (Super 8, p. 63); “E rivedo nella camera d’ospedale / la tua maschera di cera / disfarsi sul cuscino, / tra parole oscure / e flaconi dove scorre lentissimo il farmaco: / goccia a goccia.” (… Tuttavia nell’oceano città, p. 45); “Vagabondiamo all’orlo della vita. / Entriamo nel labirinto d’incenso. / Non siamo più in questo mondo.” (Io e Sibilla, p. 42); “Nei villaggi sosto ai crocicchi / Recito le mie poesie / Mi accompagna il canto della cetra del padre / Nell’eco di voci antiche” (Il nomade, p. 35).
Come già si rileva da queste sporadiche citazioni, abbiamo in mano una raccolta di versi bellissimi, musicali e visionari (“seminavamo denti incantati” p. 11, “il bosco cammina sull’acqua” p. 39, “Nella vena aperta della spiaggia / i bambini forano l’acqua” p. 53, “Lui arriva in città con le scarpe piene di vento” p. 79, “Ora si tuffano come angeli / nel voraginoso cielo di Milano.” p. 92) – il ricordo in Enrico è pastoso, erotico e sensuale, si fa rappresentazione pulsante sotto i nostri occhi, il nostro cuore riceve emozioni in cui il fiele si mischia col miele, il bene è attraversato dalle blasfemie del maligno e ad ognuno di noi, al poeta in primis, è assegnata la responsabilità della scelta, quella capacità di risposta alla presenza dell’altro, delle persone care, amate o “casualmente” incontrate, che rende importante ogni nostro singolo passo.
Queste blasfemie si rivelano allora, etimologicamente, sì delle imprecazioni, delle invettive – ma intrise di saudade e quindi anche dolcissime e suadenti – ai colpi del destino, alla sofferenza inevitabile del nostro andare in questa valle; tuttavia esse sono anche sublime canto alla bellezza che la vita ci offre, magari con svolte del tutto inattese: “udite come rinasce l’aria / sotto l’arco del portico davanti?” (La Riche, p. 13); “Un carro di stelle infuocate / entra nei balconi aperti.” (Allora la benedizione, p. 15); “Poi è la forza dei corpi / nell’abbraccio che stringe / la schiena”, Alla Galleria Mudima, p. 80); “Le foglie cadute, / d’un tratto, / ricordano i nomi di tutti gli alberi.”, Paesaggio, p. (81); “Giro in cerca di ago e filo / per disgiungermi dalla mia ombra / che ride sul balcone.” (Dentro la zona sei, p. 101).
La forza di queste poesie sta pure nella capacità di annulare le distanze geografiche e temporali: ci sentiamo compaesani di Virgilio. In effetti Enrico è nato a Mantova e il suo sguardo è davvero colmo di pietas, oggi diremmo empatico, di meraviglia per i ritmi della natura; uno sguardo che nei gesti anche minimi di un contadino, di un’artigiano, di un lavoratore, di un artista… che si dedicano con passione al proprio lavoro, sa trovare la scintilla creativa, quell’aura sacra che nobilita l’uomo anche nelle cose minime, se in esse riversiamo la nostra verità. Del resto, parlando da poeta, l’autore confessa: “Insignificabile la parola e incalcolabili i suoi effetti. / Il nostro contributo alla poesia rimane decisivo, / come una goccia che modifica l’oceano / o come un granello che modifica il cosmo.” (Adiacenze, p. 118).
PS Il verso posto come titolo di questa recensione è tratto da Pentecoste (p. 118).
recensione di AR
“… e i miei versi trascinano le selve, / deviano i corsi dei fiumi / e muovono a pietà / perfino la Morte.” – così proclama Orfeo nella splendida poesia/poemetto Il colore oscuro dello specchio (p. 113) che appunto riflette l’anima lirica di Enrico Ratti, liricità di cui riportiamo alcuni lacerti qui di seguito: “Tu eri molto più che graziosa / tu eri bella come lo squillo dei tuoi sì / nei gelidi mattini pieni di caffè bollente e di nebbia.” (Numeri, p. 94); “Ora, nei campi, tutto è così silenzioso / che può sembrare una bestemmia.” (Super 8, p. 63); “E rivedo nella camera d’ospedale / la tua maschera di cera / disfarsi sul cuscino, / tra parole oscure / e flaconi dove scorre lentissimo il farmaco: / goccia a goccia.” (… Tuttavia nell’oceano città, p. 45); “Vagabondiamo all’orlo della vita. / Entriamo nel labirinto d’incenso. / Non siamo più in questo mondo.” (Io e Sibilla, p. 42); “Nei villaggi sosto ai crocicchi / Recito le mie poesie / Mi accompagna il canto della cetra del padre / Nell’eco di voci antiche” (Il nomade, p. 35).
Come già si rileva da queste sporadiche citazioni, abbiamo in mano una raccolta di versi bellissimi, musicali e visionari (“seminavamo denti incantati” p. 11, “il bosco cammina sull’acqua” p. 39, “Nella vena aperta della spiaggia / i bambini forano l’acqua” p. 53, “Lui arriva in città con le scarpe piene di vento” p. 79, “Ora si tuffano come angeli / nel voraginoso cielo di Milano.” p. 92) – il ricordo in Enrico è pastoso, erotico e sensuale, si fa rappresentazione pulsante sotto i nostri occhi, il nostro cuore riceve emozioni in cui il fiele si mischia col miele, il bene è attraversato dalle blasfemie del maligno e ad ognuno di noi, al poeta in primis, è assegnata la responsabilità della scelta, quella capacità di risposta alla presenza dell’altro, delle persone care, amate o “casualmente” incontrate, che rende importante ogni nostro singolo passo.
Queste blasfemie si rivelano allora, etimologicamente, sì delle imprecazioni, delle invettive – ma intrise di saudade e quindi anche dolcissime e suadenti – ai colpi del destino, alla sofferenza inevitabile del nostro andare in questa valle; tuttavia esse sono anche sublime canto alla bellezza che la vita ci offre, magari con svolte del tutto inattese: “udite come rinasce l’aria / sotto l’arco del portico davanti?” (La Riche, p. 13); “Un carro di stelle infuocate / entra nei balconi aperti.” (Allora la benedizione, p. 15); “Poi è la forza dei corpi / nell’abbraccio che stringe / la schiena”, Alla Galleria Mudima, p. 80); “Le foglie cadute, / d’un tratto, / ricordano i nomi di tutti gli alberi.”, Paesaggio, p. (81); “Giro in cerca di ago e filo / per disgiungermi dalla mia ombra / che ride sul balcone.” (Dentro la zona sei, p. 101).
La forza di queste poesie sta pure nella capacità di annulare le distanze geografiche e temporali: ci sentiamo compaesani di Virgilio. In effetti Enrico è nato a Mantova e il suo sguardo è davvero colmo di pietas, oggi diremmo empatico, di meraviglia per i ritmi della natura; uno sguardo che nei gesti anche minimi di un contadino, di un’artigiano, di un lavoratore, di un artista… che si dedicano con passione al proprio lavoro, sa trovare la scintilla creativa, quell’aura sacra che nobilita l’uomo anche nelle cose minime, se in esse riversiamo la nostra verità. Del resto, parlando da poeta, l’autore confessa: “Insignificabile la parola e incalcolabili i suoi effetti. / Il nostro contributo alla poesia rimane decisivo, / come una goccia che modifica l’oceano / o come un granello che modifica il cosmo.” (Adiacenze, p. 118).
PS Il verso posto come titolo di questa recensione è tratto da Pentecoste (p. 118).
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