mercoledì 6 febbraio 2019

“Raccontami ciò che sai…”: la poesia di Stoccoro ci insegue

Giancarlo Stoccoro, La dimora dello sguardo, Fara Editore 2018, pagine 104, € 10,00
recensione di Lucia Papaleo





Aspettando Prove di arrendevolezza di Giancarlo Stoccoro, in imminente uscita per Oèdipus, riassaporiamo La dimora dello sguardo, penultima raccolta di questo poeta e psichiatra milanese che fa della poesia uno strumento infallibile di vita, di cura, di relazioni e di conoscenza.
Egli ama dire che “le parole della poesia non dovrebbero mai essere troppo ospitali”, che la poesia dovrebbe “accogliere qualche domanda ma non rispondere a tutte”, e lascia trasparire quanto osmotico e sottile sia il confine tra poesia e mente, tra dimora e aria.
Nella Dimora si scorge la struttura portante di ogni altro suo scritto, sia precedente che successivo; i temi che lo appassionano e che tende a sempre a sviluppare, a perfezionare, frutto di instancabile osservazione del contesto che lo circonda; la sua tendenza a stabilire legami con ogni cosa che popola i suoi dintorni. I suoi temi sono luoghi, assenze, alberi, distanze.
Raccontami ciò che sai… ed è subito dialogo tra il poeta e il suo lettore; tra il poeta che non è il detentore della musa, che piuttosto gli viene incontro da fuori, dal lettore che racconta e legge ed è la stessa cosa.
Stoccoro va al di là della scrittura, legge chi lo legge. È dei poeti migliori questa capacità ed è raro imbattervisi. Si resta impigliati nelle sue poesie perché lui ti chiama per nome e tu resti.
Allo scrittore accade di lasciare l’opera a metà, in preda al solipsismo della sua scrittura, finché non arriva il tassello che la completa. E il tassello mancate è il lettore, con la sua personale traduzione.
È questo il dialogo a cui mira Giancarlo Stoccoro, e che arriva quando vuole; l’autore non può farci niente, può solo aspettare e scrutare. Lui è la dimora, lui il fortino da cui parte lo sguardo amorevole che avvince.
Si può anche immaginare che i versi siano scaturiti da eventi molto personali, da amori iniziati e interrotti – meglio se sul più bello – in modo che possa essere il bello la materia da stendere sui fogli.
E se chi entra in possesso di quei fogli si dimentica del poeta e vede scorrergli davanti la vita – la propria o una vita inventata – allora è poesia semplice come il tempo che si stende sulla pelle e sulle cose, che annulla la distanza (parola ricorrente, forse per prudenza e scaramanzia, per non farsi catturare e troppo irretire, per riuscire a mantenere quella giusta).
Si inizia a leggere ostentando distanze, sicuri che non si resterà contaminati, che non si crederà alle ingenuità di un poeta… e invece ci si entra fino al collo, specie se la lettura conduce nei luoghi (altro topos ricorrente) che interrogano ciascuno ad ogni istante, (ogni luogo che raggiungo è un confine / che non smette di interrogare il mondo).
La poesia ci insegue, e noi ci lasciamo raggiungere, prendiamo dimora in ogni immagine, in ogni verso. Parole ci chiamano / assecondano la nostra voce/sembrano portarla chissà dove.
Sono testi brevi, non se ne perde il filo, non ci si perde tra le righe; vi si entra per poi rimanere nel loro senso profondo e semplice. Si rimane dentro la stessa ansia, lo stesso stupore, lo stesso desiderio. A volte m’accorgo in nota / che ti tengo addosso/con un’approssimazione che fa male. 
La frontiera labile dell’abbraccio / quel taglio obliquo/impegnato a scoperchiare il mondo. Versi che si nutrono anche di visioni oniriche, considerata la passione e l’interesse scientifico dell’Autore per il sogno. Il più intimo atto dell’individuo, il più solitario, diventa legame tra individui; raccontare un sogno crea un confine, una pelle, che ingloba le persone più diverse che si trovano nello stesso spazio-tempo-compito scoprendo che il sogno è uno solo, che ognuno declina con immagini diverse e proprie, basta solo condividere uno stesso evento che genera emozioni.
La dimora dello sguardo – dentro cui si stabiliscono Lettore ed Autore – diventa il setting di un gioco tra sogno e poesia. Ed ecco la realtà / trasloca / alla fine di un giorno/che ci ha ospitato come tanti altri.

Mantova 3 febbraio 2019


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