Nota di lettura di Claudia Piccinno
alla raccolta Affreschi dal '68 - a
cinquant'anni dal Sogno -
di Enzo Bacca
Edizioni Esperidi
Colpisce nel sottotitolo la S maiuscola nella
parola sogno, ed è il sogno, il vero protagonista di questa
raccolta, il sogno in un futuro senza padroni accomuna la massaia
agli studenti, l'artista all'operaio, le mondine al profeta di
Barbiana, nell'Italia del '68 dove manifestazioni di rivolta si
diffondono dalle università, alle piazze, alle fabbriche. Il vento
della sommossa arriva anche in Francia al festival di Cannes e a
Città del Messico dove ci furono parecchi morti il 9 ottobre e
l’ormai leggendario pugno alzato nel guanto nero degli atleti di
colore sul podio delle Olimpiadi. Atto di protesta contro le
discriminazioni razziali.
Nel Tennessee veniva ucciso Marin Luther King e
a giugno a Los Angeles fu assassinato Bob Kennedy, candidato alla
presidenza Usa. Entrambi sognavano un mondo migliore, “cose che non
ci sono mai state” per dirla con George Bernard Shaw... ma i loro
sogni s'infransero e malgrado la protesta studentesca e i dieci anni
di terrore che seguirono in Italia, nel mondo qualcosa cambierà per
sempre.
Ma cosa interessa al nostro cronipoeta? Il
risultato? No, non fu immediato e neanche ora dopo 50 anni abbiamo un
vero bilancio dei pro e dei contro. Ad Enzo Bacca interessa
illustrare, o meglio affrescare, le persone che incarnarono
quel sogno e di quel sogno ci regala ogni turbamento, la lotta, la
tenacia, l'illusione, lo scoramento, lo smarrimento, la perdizione.
Un'analisi socio-poetica a ritroso, spesso
cruda, che farebbe rivoltare i sostenitori dell'Arcadia, ma che si
pone in continuità con la sua precedente produzione, sia a livello
linguistico, producendo neologismi e urticanti metafore, sia perché
scava nell'underground di un tessuto sociale disorientato dalla
transizione politica.
Non nasconde l'ironia per il bieco classismo e
le contraddizioni palesate da clero, politici, istituzioni e
borghesi, ma i suoi versi migliori sono quelli in cui s'interroga:
Altra libertà o nuovo smarrimento?
Vi è in tutto il libro un sostenuto ritmo rap,
un elenco di scorribande, fiumi in piena, spore d'ortica trascinate
dalla corsa e dal vento. Vi sono schianti ricorrenti e attese al
cardiopalmo in una prosa poetica d'indiscutibile originalità, ma vi
è anche un repertorio ricchissimo di atmosfere pasoliniane, di
spunti musicali e cinematografici dell'epoca che fanno da cornice
alle imprese epico- rocambolesche dei protagonisti. Una galleria di
portraits si sviluppa in queste pagine, da insegnante non posso non
apprezzare il componimento dedicato a Don Milani e con questo
concludo: tesoro e testamento.
IL PROFETA DI BARBIANA
Il profeta di Barbiana se n’è andato
il manifesto tuona ancora. Nuova fede avanza.
Troppo presto ha lasciato la campagna, testardo
Don Lorenzo sparava inchiostro rosso
adesso il mito rimbomba candido
mai rimosso, danza sulle aureole porporate,
tra banchi obsoleti, strade polverose.
La scuola è da riformare, anche la Chiesa.
Alte toghe incipriate l’hanno bollato
eretico, visionario, prete scomodo.
Tunica sporca, maniche arrotolate
bicicletta, fango e terra da zappare.
Mente oltre o ebreo convertito, cosa importa al
partito?
Don Milani se n’è andato col vento nuovo
non c’è Bibbia che tiene, gerarchia sugli
attenti
quella “lettera” diversa rischiara nebbie,
testo sacro illuminante, troppo avanti e
pedalare.
Comunista o innovatore, schiacciachiesa
impertinente?
Il Profeta ci ha lasciato, fiume in piena,
crocifisso,
scarponi da montanaro, abito talare nella
cassa,
santo per la gente, rivoluzionario,
chiodo fisso i ragazzi di Barbiana, scarti
abbandonati.
Qualcuno ha scritto: - Visse
d’inquietudine d’amore
per il gregge da salvare, la sua scuola
ospedale da campo -. Sui colli di
Toscana trilla
ancora il campanello, vessillo alto.
Don Ciotti, Andrea Gallo, Zanotelli, anche loro
in bicicletta a pedalare. Missionari di
frontiera, profeti ribelli?
“Lettera ad una professoressa”: tesoro e
testamento.
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