Alberto Mori: Quasi partita,
FaraEditore, 2016
recensione di Vincenzo D'Alessio
Roger Federer, vincitore quest’anno
degli Australian Open di tennis, ha dichiarato: “È da vent’anni che mi
diverto.”
L’analogia con Alberto Mori ne viene di
conseguenza: poeta da più di vent’anni ha sempre giocato le sue partite con la
Poesia in modo eccellente, tanto che ai reading letterari, ai quali sovente
prende parte, si concludono con tutto il calore del pubblico.
Quest’ultima raccolta, Quasi partita, si muove in nove set tutti giocati sull’uso elastico della parola quale
strumento, similitudine della racchetta da tennis, per condurre il lettore (il suo avversario) sul
campo dell’attenzione.
Non sono facili le composizioni. Sono
ricche di oggetti, di richiami al gioco reale del tennis, versi brevi, poche
figure retoriche e solo qualche volta compare l’umano: “braccio aperto”
(pag. 17); “sguardi / mani / sudore” (pag. 22) e pochi altri casi. Il resto è
affidato agli oggetti, ai gesti, al campo.
In definitiva l’ironia giocosa di Mori
provoca il lettore a sudare: lui che ha scritto e lo sguardo di chi scopre la
parola/verso cercando la trama, il racconto, la partita.
La partita è l’esistenza di ogni essere
vivente. La fatica, la pressione della poca Civiltà a cui apparteniamo per
immagini percepite non più per contenuti reali, di fede, di contributi offerti
ai propri miglioramenti e opere per agli altri.
Ogni set ha la sua funzione: “Sempre
pressione / Gli sguardi acuti nel sudore / La salvietta tornata in altre mani / La fronte contro il sole spella abbrivi
/ Batte incipit e sfida sforzo”
(pag. 22).
Meravigliosamente sincretica la parola dà
il senso del tutto nel gioco, metafora pungente della
quotidianità singola e universale.
“Incipit” come a dire “creare”,
realizzare ogni momento in poesia, mimesi dell’anima umana avvertita nelle cose
visibili, nell’ancestrale partita giocata sul campo dell’esistenza con un
giocatore che non si stanca mai di agitare la sua racchetta: “Senza chiusura
del campo aperto / Scivolando
indietro /Allungato a ribattere ancora in avanti
/ nell’altra prospettiva laterale
del colpo / concluso violento
sulla barriera elastica / dove
impatti assordati / raddoppiano e
muoiono attutiti” (pag. 46).
Bella similitudine trascendentale che realizza Quasi partita, non conclusa poiché la ricerca poetica è continua, costante,
febbricitante in Alberto Mori.
Concordo pienamente con la postfazione
di Franco GALLO in merito alla raccolta quando scrive: “(…) Alla lotta contro
la fuga rovinosa nel nulla della percezione, e alla ricerca di una misura
contro il plus godere visivo offerto dallo spettacolo del tennis, lavora
infatti questo Quasi partita che, sia detto subito, è sforzo estremamente originale e
insieme esito di una poetica severa e consapevole, che ha astratto dalla sua
materia un distillato formale sorprendente” (pag. 49).
Al lettore continuare la partita!
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