martedì 6 maggio 2014

Meeten Nasr su Esecuzioni di Alberto Mori


Alberto Mori, Esecuzioni,  Fara Editore, 2013
Prefazione di Franco Gallo

recensione di  Meeten Nasr


http://www.faraeditore.it/html/siacosache/esecuzioni.html
È un fatto che da almeno vent’anni il poeta Alberto Mori ha pubblicato quasi ogni anno una sua raccolta di versi. Ciò non ha però ancora indotto quelli che si occupano della sua attività a chiamarlo “poeta” e basta. Anzi sta dilagando l’uso di definirlo “poeta e performer” per sottolineare un altro fatto, e cioè che soltanto la sua personale e provata capacità di recitare ad alta voce e di “agire” col proprio corpo queste sue composizioni rende “poetiche” – nel senso più comune – queste inusitate costruzioni linguistiche non esenti di autoironia. Ad agitare un po’ le acque ecco ora arrivare, col ritardo di un anno, questo libretto dal titolo un po’ ambiguo (a metà fra la musica e la giustizia sommaria) dalla cui prefazione, dovuta alla penna del filosofo e saggista Franco Gallo, ricaviamo questa fatale asserzione: “L’esecuzione capitale della poesia, la sua lettura ad alta voce come fatto sociale, diventa… cancellazione intenzionale dell’autosufficienza del testo poetico, la sua reinvenzione come spartito e suo affidamento allo strumento profondamente onirico del corpo” (p. 10). Siamo dunque arrivati, distanziando la poesia, a un passo più in là da quella morte di Dio annunciata un secolo fa dal filosofo Nietzsche, anche se poi, come esergo a questa raccolta (p. 12) Mori ha inserito una frase colloquiale del noto musicista John Cage che ci dà un avvertimento: “probabilmente ci sarà un po’ di musica”, come dire “se non poesia, almeno musica”. Infatti un’altra sorpresa ci attende. Ognuna delle 40 composizioni di questo libretto reca in calce un simbolo numerico – per esempio (3:46) o (4:23) o (oo:45) – che suggerisce, a detta dell’autore stesso, la durata ottimale delle loro letture. Si tratterebbe qui dell’applicazione alla poesia del metodo dello stesso Cage che componeva le sue musiche ricorrendo alle combinazioni casuali del Tao Te Ching  e che poi lasciava agli esecutori la determinazione della durata delle note. Come non pensare all’intervento delle Muse Inquietanti di Salvador Dalì?  
Affrontando ora la lettura di questi 40 brevi e perentori epigrammi, possiamo ben presto constatare che non vi sono esitazioni o rinvii dal rigido programma qui annunciato. Il musicale, il visivo, l’elettronico, spesso il nonsense dominano largamente sul letterario, mentre i significanti di buona memoria eludono spesso i suggerimenti dei significati. Qui i neologismi trionfano: “Il tinnito vuoto esce sintetizzato / Riaccende in Remix / il madrigale vespertino del Collettivo Sublime / al vernissage per New Swarovsky Shop” (p. 20). Ogni evento sonoro-visuale viene individuato nel suo svolgimento nel tempo e offerto in consumo al lettore attraverso la vista o l’udito o altri linguaggi. Tutto protende all’invenzione. Esemplare può essere considerato l’ascolto di un brano di musica di Piazzolla: “Al protendersi postprandiale del deambulo / Nei passi fisarmonici in relax / La sosta nella Piazzolla intanga tempo” (p. 24). E questo contrapposto e forse anche scherzoso linguaggio adottato/inventato/concesso da Mori ci aggiorna sul livello di rumori e invenzioni resi agibili oggi dalle tecnologie delle comunicazioni. Ma si leggano ancora questi quattro versi (p. 48): “Battito oscuro / Atemporale dalla lontananza / Timpani taciuti simultanei / La luce scivola invisibile sulla musica delle sfere” dove la forza poetica, nel senso tradizionale, è pure presente perché i suoni e le parole del testo hanno la forza di ricostruire, di fronte all’insieme degli organi percettivi dei lettori, quel suono-visione-evento fortemente condensato di cui è d’obbligo prendere atto.

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