martedì 6 maggio 2014

Su Il confine del sogno di Giorgio Mazzanti

Giorgio Mazzanti, Il confine del sogno, FaraEditore 2013

recensione di Vincenzo D'Alessio


http://www.faraeditore.it/nefesh/confinesogno.html
 
La raccolta poetica di Giorgio Mazzanti Il confine del sogno si presenta come uno scrigno di cristallo dal quale traspaiono paesaggi, emozioni, silenzi meravigliosi, infinita pace e continui dilemmi sull’esistenza. La neve è la guida per ogni pagina della raccolta: è calda, “Accenni di neve / sospesi sugli estremi rami / (…) non è freddo / nel sole : insiste a farsi / luce (…) stanno / delimitando / il confine del sogno” (pag. 13). Neve come fermento naturale durante l’Inverno per vedere germogliare il grano dalla terra addormentata. Immagini riprese da un altro grande poeta e teologo raccontate nella bellissima raccolta Primaneve: “Hai tu la dolce memoria / premente l’anima adulta / di quando la neve / la prima volta vedemmo / sulle tettoie cadere?” (Agostino Venanzio Reali). Una raccolta profonda quella di Mazzanti, dove il cammino del lettore potrebbe smarrirsi nelle attese, nel difficile percorso filosofico/ teologico, addolcito dalla leggerezza della parola poetica.

Il sogno del Nostro richiama alla mente il sogno di Giacobbe (Genesi 28,10-17) che poggiato il capo su di un sasso si addormentò per la stanchezza e nel sogno vide gli Angeli di Dio salire e scendere dalla terra al cielo su una scala di luce. Nel sogno parlò con Dio e le promesse fatte a Giacobbe richiamavano la lunga discendenza di Abramo. Giacobbe promise a Dio di elevare in quel luogo un tempio per ringraziarlo se le promesse avessero avuto compimento. Le promesse fatte al cuore dell’uomo di oggi, scrive nei suoi versi Mazzanti, sono incupite dalla quotidianità e l’uomo di questo XXI secolo poco sogna e non parla più con Dio.

C’è un confine doloroso, quello delle forme umane, che scompiglia i sogni dell’uomo e a stento la Fede cerca un approdo, il Nostro mostra la similitudine con lo scorrere di un fiume:

“Incenerisce di malinconia / l’attardata ansa del fiume, / (…) inesorabile il nero / deserto dell’anima: / sa dell’alba di ieri / non di domani.” (pag.38)

La sinestesia accorda in modo perfetto la ricerca di Dio mentre scorre l’esistenza di ogni essere vivente: ognuno giunge di fronte al dolore della fine e non sa come uscirne consapevolmente senza perdere l’Io che ci dà luce:

“Il fiume ignora / dove porta / l’acqua che porta dentro: / (…) solo sa, ignorandola, / la foce: / vi tende dall’alto / senza saperla e vederla; / un istinto guida / a correre verso l’ignoto / approdo / (…) sapendo già / che tutto è gloria e foce.” (pag. 92)

La corsa dell’Umanità verso una sperata felicità terrena, benessere, perdurare della propria immagine nei canali internazionali e in futuro nell’infinito dello spazio siderale. Una corsa a permanere negli occhi e nella mente della gente del mondo:

“(…) la voglia di vivere / la furia del cuore / tenero, troppo / e l’eccesso della mente / i pensieri tirati a lucido / i passaggi bruschi e difficili / su crepacci d’anima / e d’epoca” (pag. 34).

La raccolta, che si inquadra nella poesia religiosa, è suddivisa in due parti e in altrettanti sottosezioni che utilizzano la metafora per invitare, come nei Salmi, il lettore ad essere paziente e seguire il poeta nel suo percorso: “I rami dei giorni / Fiordi di memoria / Gocce di Parole / Squarci di sogno / Alla brocca dell’eterno / Corso di destini / Foglie d’infinito / Lo scavo del tempo / Oltre lo scoglio / Tra i fuochi dell’ellisse / Urla di silenzio / La danza del giorno”. Un cammino votato all’osservazione profonda dei fenomeni naturali, dell’investitura di profonda ricerca di sé nella solitudine, dell’instancabile sete di affidare alla parola il messaggio dell’eternità.

Sarebbe stato bello avere questa raccolta ricca di miniature come negli antichi testi sacri della scuola benedettina: avrebbero affascinato il lettore infondendo la serenità che promana dalla poesia: “(…) come gli alberi / nella quieta / pellicola del fiume” (pag. 23). Ma non tutto è pace e l’uomo, simile all’animale inseguito dal cacciatore, cerca riparo nel proprio io: “(…) all’erta l’animale / inseguito insilenzia / bosco e vento / sovrana la luce dilaga / ricomposta” (pag. 24). Ecco la soglia dell’affanno che consuma il genere umano, la mancanza di un dialogo “sul confine del sogno” con una forza divina, con l’appagamento dalla stanchezza che chiamiamo vecchiaia.

Risuona nella raccolta di Mazzanti la eco dei versi dei poeti del nostro Novecento. Si leggano i versi che seguono: “(…) a volte sale / dal fondo / un’antica / melodia, familiare / al cuore, indomabile / tuttavia; / tremula dal fondo / un’andata infanzia / una antica innocenza” (pag. 25). Si confronti Eugenio Montale nei versi: “Cigola la carrucola dal pozzo, / l’acqua sale alla luce e vi si fonde./ Trema un ricordo nel ricolmo secchio”. Una felice contaminazione anche se il verso del Nostro è breve, spezzato, sofferto. Come in Montale così in Mazzanti l’ispirazione è la memoria, il ricordo, quel vibrare vago di un sogno passato che placa il dolore presente del tempo che scorre inesorabile, quasi nostalgia.

Il poeta avverte la solitudine lungo il cammino. Cerca riparo sotto la salda roccia del suo Dio. Prova rabbia verso un clero che non dimette l’abito della poca fede: “(…) forsennato / il clerico / urla / urli / a colmare / di vana retorica / vani cuori / sterminati / (…) insiste / la fabbrica / a fabbricare / amuleti / e immagini / da immondo / commercio” (pag. 129). Ad ascoltare questi versi viene alla mente la voce di San Pio da Pietralcina che arrabbiato rovesciò le bancarelle dei venditori della sua immagine a poca distanza dal convento dove pregava. La poesia è anche sfogo, invocazione, esortazione verso il lettore ad allontanarsi dagli orpelli dell’esistenza, dai luoghi comuni per avvicinarsi ad una ascesi intima, più attenta ai valori universali, più sicura dell’inizio e del raggiungimento di quella che il Nostro definisce: “esausta avventura” (pag. 145).

L’invito rivolto dai versi/ salmi di Giorgio Mazzanti non è solo per il credente, il cristiano, raggiunge, se letto, l’anima di ogni uomo. Invita a “guardare dentro” senza spaventarsi della fine. Invita ad affidare le nostre parole all’Amore, raggiunto attraverso la lunga strada del dolore, fino al confine del sogno dove: “(…) salire / a stregare il mistero / l’afonia” (pag. 153), che regna nell’Universo.

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