LA VALIGIA DEL MERIDIONALE
Un’intensa raccolta di liriche di Vincenzo D’Alessio
La valigia del meridionale e altri viaggi (poesie 1975-2011), prefazione
di Anna Ruotolo, è un’opera di Vincenzo D’Alessio, Fara Editore 2012.
Vincenzo D’Alessio è nato a Solofra, in provincia di Avellino, nel 1950 e
vive a Montoro Inferiore. Laureato in Lettere all’Università di Salerno
ha ideato, tra l’altro, il Premio di poesia “Città di Solofra”,
nonché fondato il gruppo di cultura “Francesco Guarini” e l’omonima
casa editrice. È autore di diversi saggi di storia e di numerose opere
poetiche. Ricordiamo solo l’ultima raccolta Figli del 2009, dedicata
al figlio Antonio, scomparso prematuramente. Come ha sottolineato la
prefatrice «la voce del poeta irpino si offre nuda e vigorosa, a tratti
falce interdetta che grida l’ingiustizia (Siamo nani / di fronte al potere oscuro),
altre volte sguardo che abbraccia e sostiene la volontà di ribellarsi
umilmente ma con determinazione a ciò che opprime la dignità dell’uomo e
deturpa l’ambiente e questo nonostante gli insuccessi, le ferite, le
bastonate…». Chi conosce Vincenzo D’Alessio, uno dei membri più attivi,
oltre che contemplativi, dei poètes maudits del circolo irpino-lucano, sa subito riconoscere il suo stile, sobrio ed intenso, sottile ed incisivo come spada che ferisce e combatte,
ispirandosi a quel maledettismo meridionalista. Il tema forte di questa
raccolta è l’emigrazione, intesa qui come una romantica, struggente
uscita, o “estasi” senza ritorno: di qui il forte senso di “sehnsucht”,
una profonda nostalgia, una perenne tensione verso l’infinito, che anima
le nuove, ma sgualcite, perché antiche nel senso intimo, paginette
dell’intensa e raccolta raccolta di componimenti, breviori e laconici.
C’è, come diceva Schelling, nell’Assoluto l’ “Abgrund des Willens”,
l’abisso della volontà, per cui le esistenze sono, nel medesimo tempo,
una necessità divina ed un male: «questa è nelle cose l’inafferrabile
base della realtà, il residuo non mai appariscente, ciò che, per quanti
sforzi noi facciamo, non si può risolvere in elemento intellettuale, ma
resta nel fondo eternamente». Male che sarà redento quando le esistenze
singole torneranno all’Unità primigenia, ma ciò non è previsto per
l’emigrante dalessiano. Citiamo solo un punto per rendere l’intera idea
dell’opera: A te che sei andato via/ grido: non tornare! / in questa
terra che credi amica/ non cercare in fondo al cuore/ il respiro di
madre antica / … cerca nella nuova terra/ il tuo destino, lascia ai
salici/ la corsa verso il mare. C’è il forte richiamo, però in senso inverso, alla ferma speranza nell’oppressione del salmo 136:
«Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre, perché là ci
chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato», ed anche ad Alle fronde dei salici di Quasimodo: «E come potevamo noi cantare …
?», di cui l’eco forte e silenziosa: Quando potremo riposare? / Terra rimasta vera / solo nei pensieri miei.
L’oppressione, invece, in D’Alessio è proprio nella propria terra, una
madre matrigna, come una natura leopardiana, un coccodrillo-Crono che
divora i suoi figli. Ecco perché la Ruotolo più volte paragona il poeta
ad un eterno friedrichiano “viandante sul mare di nebbia”, come quei Figli lontano dal sole / nelle nebbie tristi di torpore…:
«dunque il poeta campano, a dispetto dei silenzio e della perdita di
punti fermi in una qualsivoglia tradizione è il viaggiatore per
antonomasia, sempre in giro e mai troppo lontano dai suoi luoghi».
Vincenzo Capodiferro
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