recensione di Vincenzo D'Alessio
L’Antologia curata da Alessandro Ramberti nasce, ancora una volta, dall’aria nitida che si respira nell’eremo di Fonte Avellana: un riparo, camaldolese, dalle angustie dell’esistenza per incontrare lo Spirito che vive nella pluralità delle sue forme.
Le pietre: sono dure, lisce, colorate,
grigie, sonore.
Le pietre, usando un’anafora, hanno
parole e forme nascoste che il polso fermo dell’artista riesce a svelare agli
occhi del racconto.
“Parole come pietre”, la plaquette
poetica contenuta in questa Antologia, sono state scolpite in versi da LauraCorraducci. I versi sono stati abbinati alla mostra di sculture dell’artista
Giuseppe Polverari, al quale è dedicata anche una delle composizioni della
raccolta che chiudono con questi versi: “salvi
l’arte ciò che sfugge alla parola”.
Nella plaquette compaiono diverse
dediche a poeti e poetesse dello scorso Secolo
Breve, tra questi Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Wislawa Szymborska, Emily Dickinson e altri.
C’è una contaminazione prolifica che sfocia in una nuova forza costruttiva, una
parlata nuova, musicale e al tempo
stesso perfetta, priva di ridondanze o di fronzoli, che si avvale
dell’enjambment per dare energia al verso nelle chiuse e rafforza il ritmo
libero con l’assonanza fondata sulle doppie consonanti, il tutto disteso su un
pentagramma lungo oppure corto (il verso) ricco di metafore, similitudini, callide
iuncture, sinestesie.
Seguiamo alcuni versi: “pisciarsi gioia sulla testa” (a Lucio
Dalla); “coi pensieri sbagliati dentro
agli occhi” (a Bacchini); “salvi
l’arte ciò che sfugge alla parola” (a Giuseppe Polverari); “una dolcezza inquieta senza scampo” (a
Eugenio Montale). La bellezza della poetica della Nostra traspare in ogni verso
dall’incontro con i sentimenti, il dolore, le emozioni che reggono il percorso
di ogni singola esistenza. Il lettore è attratto dalla musicalità che sconfina
nella quiete interiore alla ricerca di una filosofia contemporanea che rinnovi la
maieutica nell’uomo:
vorrei essere tana al tuo dolore / mescolando il vino con il canto /
e raccoglierti sul seno l’acqua / che da sempre piove in petto /
una dolcezza inquieta senza scampo (a Eugenio Montale)
Sento, leggendo questa poesia,
l’accostamento perenne alla poesia de I
Limoni dello stesso Montale: “Io,
per me, amo le strade che riescono agli erbosi / fossi”, la splendida
lezione del Novecento rinnovata con una tepore giovanile che riprende tutte le
angosce del XX secolo trasformandole in quell’ossimoro della Corraducci “dolcezza inquieta”, splendida speranza
d’amore.
Quasi tutte le poesie della raccolta
sono scritte in seconda persona. Quando compare l’io poetico lascia il posto
alla fecondità del verso al femminile, all’energia dell’acqua del parto, allo
sfogo della sorgente prima del verso: “decidi
adesso quanto dura la tua morte / avido destino che mi porti nelle retrovie /
di una vita macinata come il sale / raccoglierei fiori bianchi dentro ai fiumi
/ per la tua schiena che incendia sulla pietra / per questo nome che brucia
sotto i polsi” (pag. 278).
C’è il tono della ricerca: “ma la paura non ti sarà più madre /
srotolerai la lingua dentro il tempo / in una coniugazione nuova dove / il buio
si decompone piano e lento / nel vagito testardo di una speranza” (a
Mishima). La vita chiede alla vita la rinascita nella poesia che vive oltre il
tempo terreno del poeta, nel vagito come primo canto, purezza rastremata del
dolore, primo contatto nel respiro con la Natura madre e matrigna da secoli.
C’è uno splendido futuro per la Poesia oggi che sembrava, nelle ombre del
secolo passato, dovesse scomparire dal convito dei popoli.
L’Amore resta, la nota più alta sopra le
cinque righe, ripetuto nell’anafora della poesia a pag. 285: “amore di ardesia e di mare / arrampicato a
gambe nude / agli spigoli di un sogno / (…) amore nero inchiostro di veleno /
che scrivi sul mio corpo i quattro punti / cardinali segnando la rotta a tutti
i desideri”, che bene si accosta ai versi di un’altra, forte voce, della poesia contemporanea, la poeta
Anna Ruotolo: “L’amore numero due /
prepara il calore nei vestiti / protegge il viso con le mani / impara a stare
zitto due giorni di fila / sceglie la panchina più nascosta / accende il fuoco
nel bosco, / ma sicuro,in mezzo
alle sue pietre” (SULL’AMORE, FORSE, Gradiva,
number 41/42, 2012).
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