L'emozione dell'aria, CFR 2012
recensione e scelta di Narda Fattori
La musica è vibrazione d’aria,
aria che si piega, corre su precipizi, sprofonda, risale, volteggia lieve come
una farfalla, sfugge alla presa, capitombola, si muove elegantemente come i
cavalli al dressage, …, molto
concisamente, forse superficialmente, la musica è aria che emoziona e ci trasporta
dentro, fuori, adagio, solenne, allegra, andante…
Lucetta Frisa si fa penetrare da
questa emozione e, mutando il ritmo, il timbro e la melodia, varia il suo
dettato, il contenuto dello stesso che può elevarsi, ma mica poi tanto, perché
la musica, arte sottile e matematica, trascende la quotidianità ma mai
l’individuo perché di esso è prodotto, arte e non merce, e quindi è una grazia
e una bellezza o un dramma e un abisso che gli restituisce la possibilità
creativa, quel prezzo terribile che paga da quando volle mangiare all’albero
della conoscenza. Il titolo stesso è una azzeccata sineddoche: è la persona che
si emoziona alla vibrazione dell’aria nella musica.
Lucetta Frisa ha già trasposto
elegantemente le emozioni suggerite da dipinti famosi e anche da essi, in una
felice contaminazione artistica, si è fatta penetrare, è entrata in dialogo.
Con la musica non si può
dialogare, puoi solo assumere la disposizione più consona all’ascolto: tecnico
se sei musicista, intimo, intrapsichico se sei poeta.
Ecco come ce lo dice: “voci/ voli/ fiato/ di chi ama o muore/
l’emozione dell’aria trova il suo alfabeto.” È un alfabeto che si può
ascoltare, con il quale, però, non si può interloquire. L’eloquio è fra sé e
sé, fra sé e gli altri. La Frisa può dirlo con questa intensità:
“Se i suoni sono specchi
di un detrito astrale
chi evocano
invocano
quale visione
o profezia?
E a noi
tocca solo il dolore
o sordità?
se il canto di sirena incantò il tempo in pietra
le nostre voci
affondano
nei vuoti
abbandonati
degli astri…”
Porgiamo un attimo di attenzione
alla spaziatura dei versi che, mi pare, cerchino di imitare la disposizione
delle note sul pentagramma; la loro apparente irregolarità è in realtà il loro
pregio, la musica che suonano, il ritmo che vibra nella loro scrittura, il
fiato , il respiro.
Ma torniamo ai versi: che sa
l’uomo di questo suo miracolo, pur essendone l’artefice? Può essere che la
profezia che vibra sia diventata incomprensibile e qui si stia nel dolore e
nella sordità?
Se il canto delle sirene
trasformava gli uomini in pietre, ora sordi, si cattura il vuoto fra gli astri
e, ben sappiamo che il vuoto è molto maggiore del pieno.
Ecco che la musica apre le porte
della riflessione intrapsichica, emozionale, anche filosofica.
“la musica lascia una scia
d’aria
ed ombra
dov’è il centro?
è solare vento
che a caso muove il nulla
le sue figure?
nella polvere fu concepito il fremito tellurico
ma nell’atmosfera tutto sembra immobile e muto”
Lucetta procede nel suo ascolto
che proietta fuori di sé scienza e coscienza, soprattutto molti interrogativi
senza risposta, che non hanno risposta.
Tutta la prima sezione,
intitolata Basso ostinato si fa
carico delle domande “impossibili” e giunge, inevitabilmente, alla fine del
personale (umano) percorso dell’uomo che passerà oltre la Turbolenza e,
contrariamente al razionale e percepito, il
ponte è un taglio che ci unisce al buio e resteremo con una fame inesausta
di musica che dovrebbe sprofondare
con le sue partiture sotto la nostra stessa crosta e ci porteremo via
minutaglie, le cose di tutti i giorni, tutti
i giochi, gli inganni.
La musica, così amata e cosi
violentemente amante, ci abbandonerà alla sordità, la terra ne sarà
abbandonata.
Questa prima sezione del libro,
che ha la struttura di una fuga di Bach (però da inesperta, non vorrei
azzardare nessuna analogia) è anche la più aspra e solenne e il titolo è ben
accordato: basso, come il ridere del
grillo, forte come la lingua del tuono ( versi di Emily Dickinson),
ostinato, niente fughe ma scavi, ascolti, echi, rimandi, rifrazioni e qualche
riflessione.
Poesia coltissima, attenta,
controllata ma anche dolente, amara, senza alcuna forma di consolazione. La
sezione che segue, Les amusements,
ci accompagna verso musica diversa, se non proprio divertente come promette,
capace di penetrare e assolvere le minuzie, le sofferenze, gli antri oscuri del
transito umano. Ogni poesia porta il titolo del brano e il nome dell’autore
(Schubert, Chopin, Ravel, Brahms, Rimsky-Korsakov, Bartòk, Astor Piazzolla,…);
musica diversa per tempi diversi ma la non contemporaneità dei musicisti offre
la possibilità di raccontarsi, perché questo osa talvolta Frisa, in modi e con
timbri spurgati dall’emotività:
“[…] ora tu suoni
per me per noi
per questa casa saturnina che a ogni nota
si frantuma un po’ di più
[…]
impari e dimentichi
impari e dimentichi
e non smetti mai
di suonare.
La terza parte, più breve,
intitolata Peace Piece, si sposta
con indifferenza fra la musica da camera a quella blues e jazz, ma non sono
indifferenti i temi: in queste poesie Lucetta Frisa esce da sé per guardare gli
altri, gli altri come persone e non come mondo, cioè convitati ad una mensa amara.
E per i bambini, per il loro rispetto, per il loro affetto,
per evitare loro le escissioni dei sogni e i morsi della vita, dice”
abracadabra/ se potessi” Ma non c’è magia che tenga, se non questi bellissimi
versi che possono solo restituirci un po’ d’umanità.
La dolenzia non è disamore , è troppo amore per la bellezza che si vorrebbe pura come nell’arte e diffusa invece le brutture scorazzano nelle contrade del mondo e se ne sono impadronite.
La dolenzia non è disamore , è troppo amore per la bellezza che si vorrebbe pura come nell’arte e diffusa invece le brutture scorazzano nelle contrade del mondo e se ne sono impadronite.
Meeres Stille
(Franz Schubert)
la meditazione è una luce bianca
in un punto della tenda di questa
camera
la stessa che c’è al mare quando
mi costringe ad abbassare gli
occhi.
il bianco non è la verità ma invita
a perdersi e ritrovarsi in un punto solo
infanzia vecchiaia parola e foglio
naturali come una goccia di pioggia.
ma la misura è difficile:
dopo iniziamo a dissiparci
a invocare Dio per un mal di
testa.
hai il cuore pigro – mi dici.
sono sempre stata così?
e metti su un vecchio disco
di Fischer-Dieskau che canta
Tiefe Stille
herrscht im Wasser
Ohne Regung ruht das Meer
Ohne Regung ruht das Meer
Und bekummert
sicht der Schiffer
Glatte Flache
ringsumher...
una melodia sotterrata
una tenda appena mossa
la calda vita non c’è mai
stata ma domani
mi vestirò di rosso
balleremo il flamenco
abbaieremo alla luna insieme ai
cani
Notturni e valzer
(Frédérik Chopin)
spegni la luce
il buio ci vola tra le mani
sparso ce lo tocchiamo sulla
pelle
nella gola il fresco di un gelato
e Chopin
danza tra
gli oggetti - piume sfatte
Poi quel soffio sulla guancia
ogni volta che siamo qui in
estate
sempre allo stesso posto del
divano
e nessuno di noi ha aperto i
vetri
per non fare entrare le zanzare
è solo aria?
dicono che a
volte i morti
si sollevano
fino a venirci accanto
Nei Notturni e nei Valzer
nel tocco sensuale del pianista
in questa stanza di note e ombre
vanno e vengono
in tempo reale
Pavane pour une enfante défunte
(Maurice Ravel)
distesa
se si alzasse ora sarebbe morta
è vecchia anche se sembra
giovane.
ha solo tenuto duro: immobile
per non perdere i capelli
scriversi le rughe col coltello
non avvizzire di lacrime
Ha compassione
di chi non è partito spaccando il
muro
ha compassione
di chi partendo patisce altri
dolori:
soltanto questo lascia dietro a
sé
Di stagione in stagione lei volò
senza un respiro grande
non si definì non si sfogliò
subito raggiunse la radice
Ora con gli occhi in questo buio
secco
lo prega di non chiederle più
nulla
farla dormire in pace
Le
cose sono abituate ad andar via
lasciano la loro gravità
come aloni sulla cera
L’asse terrestre
ruota
intorno a un divano torpido
La rêveuse
(Marin
Marais)
le cose si avvicinano
nella confidenza
sonora:
lo stato della
grazia
è la più alta
illusione illuminata
dal sole animale
la sognatrice
entra nelle
creature
scuotendosi la
polvere aliena della mente
le rispondono
i minerali e gli
astri:
sono solo sogni
ma a diverse velocità
del fluire
echi
contrappunti
della stessa
placenta
dei solidi e dei
liquidi
dei morti e dei
vivi.
lei attraversa
tutti gli stati
d’animo come
il periplo dei
venti
le fasi
dell’incandescenza
ma si sente
sbiancata
e non riesce a
parlare
oppure è solo la
stanza
vaso silenzioso?
Ancora non hai
nessun profilo
–
le dice il sogno – neppure
quello che i fari
dalla strada
proiettano
sul muro
For children
(Bela Bartòk)
Il mio ideale è maturare verso l’infanzia.
Bruno Schulz
la stanza nel
buio si colora.
sono
palloncini le note?
bisbigliano tra lampadario e soffitto
si fermano
sulla
soglia di casa
il mare è qui sul pavimento
sale ad accarezzarci il collo
dammi la mano per entrarci dentro
piano
senza le scarpe
come dentro un tempio
una mattina al
mercato dei palloncini erano legati a un albero
pronti a scattare
in alto ne chiese uno ma non riuscirono subito a slegarlo
e infine eccolo tra le
sue mani, rosso: si afflosciò subito.
dammi il coltello
tutto va preso a squarci a morsi
–
è così che si diventa
adulti.
pose timida il
dito sopra un tasto del pianoforte e l’universo esplose
– era gonfio e
invisibile? Abracadabra
abracadabra
gola orecchi
occhi a quel tocco si spalancarono
abracadabra
se potessi
ripetere quel
suono
e lo stupore
ma stasera
giochiamo a
palla sulle onde
in questa
stanza sul mare
voliamo alto
se potessi
posare ancora
il dito sulla tastiera
ripetere
quel suono e
lo stupore
abracadabra
abracadabra
dammi l’ago e
dammi
filo e forbici
voglio cucire
ricucire
scucire il
mondo
Abîme des oiseaux
(Olivier Messiaen)
dalle prigioni
si guardano volare gli uccelli –
la stanza
sigillata
non si apre
in una parte della mente
altre leggi o nessuna
altre terre senza acqua e
ossigeno
fra nebulose –
è l’abisso degli uccelli?
stanotte
nel cielo caldo
i punti delle stelle
sembrano mosche intorpidite
o uccelli in posa a luccicare
in un’altra gabbia
Si suona nel lager ma nessuno
vola
e qui un velo di note
ci allontana dall’orrore e noi
noi si aprirà le dita
per segnare l’ombra delle ali
sulle tombe
perché gli uccelli la
vedano
La mer
(Claude Debussy)
Gli scontri
umani avvengono in alto disse Lucrezio
tutto si
genera tra masse potenti di nuvole
fame e
desiderio principio e fine di storie e stelle.
La tramontana
sull’acqua è fremito ma sulla pelle
è ruga, dico,
e tu sulla minitastiera simuli
la furia
marina in questa notte ancora estiva ma perdonami
se penso solo
alla tramontana buia:
mai mettersi
in mare dicono i pescatori le barche
si rovesciano
i pesci affondano la caligine si conficca
i piedi
perdono i passi nessun vecchio marinaio
ritorna a
raccontare neppure si riesce a dormire
tra le coperte
neppure in sogno si fugge e il cane
invecchia di
colpo.
È questa la
tramontana buia? È il vento chiuso nella casa?
Che bravo sei
– dico – e ti applaudo ti applaudo
Toccata settima
(Girolamo
Frescobaldi)
una
scala sale e poi si ferma
resta lì a creare
altre scale
senza condurci
da
nessuna parte
l’aria chiama slanci
verso un aperto sempre più aperto
un alto sempre più alto
una stanza d’aria ferma
ha il peso specifico
dell’arabesco vaporoso
che non snida nulla
la mia carezza resta a metà –
si crea a cerchio la sua aria
foglia che non va
né su né giù.
Dove siete anime dei cieli
promessi?
qui non ci sono voci
né parole, nulla progredisce
o torna, si danza o si fa finta
su passi sottili
distanti dal pensiero
e io ti chiedo: dove sei?
e tu rispondi: dove sei?
non c’è nessuno qui, neppure noi
Concerto per la mano sinistra
(Maurice Ravel)
se il disordine segna i cambiamenti
riaffiorano
i versi sbigottiti
galleggiano
verso nuovi mormorii.
Ciò che manca è la forza
di confonderci e rifare una gioia
di sorprese
dalle menomazioni.
Le assenze
hanno germogli al buio
da coltivare attentamente
perché le ombre
raccolgono l’energia dei millenni
i profili potenti di terre morte
le trame di chi in loro ha
creduto
nelle ore diurne.
Chi si ripara nell’ombra a godere
la luce
sceglie la parte sinistra di sé
gli oscuri
lobi temporali che dirigono
occulte partiture.
ora tu suoni
per me per noi
per questa casa saturnina che a ogni nota
si frantuma un po’ di più
moduli assenze come
vuoti virtuosi
pause musicali
impari e dimentichi
impari e dimentichi
e non smetti mai di suonare
Oblivion
(Astor Piazzolla)
dimenticare è danzare
all’indietro
ogni passo striscia il tacco
sulla cera
non bisogna inciampare
ma
scivolare il corpo con grazia.
tu reggimi bene lo sai
che soffro di vertigini
quando mi
allontano dalla scrivania.
ciascuno con una spina dorsale
eretta da cinquantamila anni
ha imparato a volteggiare poi
s’incrina
il pavimento.
se danziamo all’indietro il piede
cancella il fastidio dei riflessi
ci illudono le curve di seguire
il flessuoso universo.
miei occhi nei tuoi occhi:
dipanando
il filo lungo e ritorto del mondo
lui slitta via e noi
avvitati
a un chiodo
Introspection
(Thelonius Monk)
gli idioti
guardano dall’altra parte della strada
non vedono macchine
solo cani festosi
gli idioti
vedono i morti sotto gli sgabelli
che li vedono stupiti
di
vederli lì
gli idioti
vedono il mare dappertutto
nel letto
e
negli sgabuzzini della polvere
gli idioti
se ne
infischiano di restare o partire
nel
corpo
nel
cervello
nei
piedi
stanno
come in grembo alla madre
gli idioti
amano la
musica
coprono
di musica la terra
coprono
il dolore
sono
innocenti
uccidono
l’orrore
con i suoni
gli idioti
non sono
mai intonati
gli idioti
sono i
morti che ritornano
ritornano continuamente
per
salvarci
dall’intelligenza
non sono mai intonati
gli idioti
suonano sempre la stessa musica
gli idioti
la sola
imparata
quand’erano sottoterra
Peace Piece
(Bill Evans)Ogni cosa non è sola
se non la lasciamo andare
un filo
la lega alle altre e a noi
basta una musica
velo tra cosa e cosa
corpi fluidi specchi che ci
sdoppiano
sdoppiando il mondo
ma è un’illusione
l’illusione è
la verità che non si cerca
appare
al tocco di due note
l’illusione
come l’amore è solida
vediamo due rincorrersi nel
labirinto
di un giardino antico
le curve del disegno si
allontanano
poi quasi si toccano i due
ridono
sale un canto d’usignolo
loro non sanno che è un rospo –
cantano allo stesso modo
Dove si va
oltre la verità
si bussa a quelle porte celesti
che non si aprono
non possono aprirsi più
perché l’oltre è finito
e tra il paradiso e l’inferno
c’è un millimetro.
1 commento:
Molto belle, in particolare mi hanno coinvolto moltissimo "Pavane pour une enfante défunte" e "For Children". Un libro da non perdere, senz'altro.
Liliana Z
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