giovedì 7 agosto 2025

“Un canto che esiste da sempre”

di Massimiliano Bardotti (peQuod 2025)

di Subhaga Gaetano Failla



Torno dalla kermesse di Fonte Avellana con il dono di nuovi incontri e di un altro abbraccio con Massimiliano Bardotti. La sua recente opera, A noi basti la gioia di cantare, ha rinnovato nelle settimane successive la bellezza dell’incontro con l’amico.

Ho letto in passato molte sue opere. Nel mio itinerario tra le pagine di quest’ultimo libro di Massimiliano ho sentito, con ancora maggiore intensità, quel che considero la caratteristica principale della sua scrittura e della sua vita: la gratitudine verso l’intera esistenza. 

A noi basti la gioia di cantare è composto da poesie e brani in prosa simili a frammenti di un diario spirituale. Il libro è arricchito dalla prefazione di Guidalberto Bormolini, intitolata Un poeta va letto di notte, e dalla nota conclusiva di Davide Mencarelli dal titolo La rivoluzione dello spirito. Scrive Bormolini:

“Appartiene alla consuetudine dei monaci riservare il meglio alla notte. Perché i sensi non sono distratti e attratti da ciò che ha poco valore. (…) Leggere i versi e le prose del poeta Bardotti è stata una delle mie recenti attività notturne.” E nella nota di Mencarelli così leggiamo: “In questo libro portato come dono, animato da una grazia antica, immemore, Massimiliano Bardotti ci ricorda a quale trama celeste appartenga il nostro cuore.”

Massimiliano con quest’opera si manifesta ulteriormente come autore di profonda ispirazione, intendendo “autore” e “ispirazione” nei loro significati radicali. Parlo di Bardotti come autore nel senso etimologico del termine, accezione che non riguarda affatto i tanti cosiddetti autori divenuti misera merce del mercato editoriale. Un vero autore come Massimiliano Bardotti è invece, etimologicamente, colui che fa crescere, che fa accrescere la bellezza e la capacità di coglierla, che rende con la propria opera l’umanità più cosciente e migliore. E parlo inoltre di ispirazione proprio in senso radicale, nel suo significato originario, come derivazione del verbo in-spirare, l’immagine dunque di un respiro, di un misterioso soffio vitale che viene accolto come dono prezioso dell’intuizione poetica. E nel respiro c’è un ritmo, il pulsare di un cuore, una misura, una metrica, nel battito del piede di un viandante e del cantore.

Come si conviene a ogni viaggio avventuroso, pieno di pericoli, di prove ardue da superare, sul percorso di A noi basti la gioia di cantare aleggiano gli spiriti degli autori amati e le Voci, come numi tutelari, posti in epigrafe di ogni sezione: Borges, Luzi, Tagore, Turoldo, Frost, il Salmo 64, Gibran, ecc. 

Nella sezione intitolata Testamenti, in anni in cui la bontà è disprezzata anche attraverso il neologismo “buonismo”, mi commuovono questi versi di intima tenerezza e di bontà:

“Perdono chiedo al mondo / per ogni volta che ho guardato / senza avere negli occhi la bellezza.”

E nella sezione Grazie il nostro respiro diviene vastissimo nel canto di gratitudine di Massimiliano: “Appartengo a tutto ciò che è sacro / il ginocchio che si piega / per eguagliare la statura della viola,”. 

E ancora, nella stessa sezione, questi versi da accogliere senza alcun commento: “Grazie per il sogno di morire piano, / accorgendomi di tutto.”

Nella sezione intitolata Nessuno vuole assumersi mai il peso del buio, nel seguente frammento in prosa scopriamo l’indicibile coraggio di una venerabile resa, di un arrendersi al flusso benedetto dell’esistenza:

“Intuire la fine, come naturale compimento della vita. (…) Indovinare come moriamo anche noi in ogni piccola morte del mondo. E quando arriva la malinconia anziché scacciarla farle spazio, senza dirle niente, solo il semplice gesto. Che si accomodi. Non difendersi più da nessuna paura. Come voler dire: va bene, eccomi, sono qui. Mi si sbrani pure. Smettere ogni resistenza. Arrendersi.”

Concludo queste righe riportando, di nuovo dalla sezione Testamenti, le seguenti fulgide parole di gratitudine:

“Vorrei che ogni mattina, svegliandoci, aprendo gli occhi, sentissimo il desiderio di dire grazie per quello che la giornata avrà da riservarci. Vorrei che questo fosse un desiderio ineludibile, feroce addirittura, impossibile da ignorare. (…) E mentre la gratitudine si espande in tutto il nostro corpo immobile, sentire il canto nascere. Un canto inequivocabile e antico, un canto che esiste da sempre ma che solo chi lo canta conosce.”

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