lunedì 7 luglio 2025

Una ricerca coerente e vitale

Alberto Mori, Luce solida, 2025

recensione di Maria Grazia Martina
Artista, storica dell’arte e del costume


La raccolta poetica Luce solida (2025) di Alberto Mori conferma e direziona la sua “macchina da presa” sul rapporto visione-scrittura, consolidando una traiettoria di ricerca che si mantiene coerente e sempre vitale nel tempo. Il gesto poetico di Mori non è mai descrittivo, ma distillato: si muove in sottrazione e condensazione, attraversando la complessità spazio-temporale attraverso pattern visivi del vissuto, con l’occhio allenato al segnale della variazione più impercettibile.

Attraversamenti minimi eppure intensi, nei quali si dispongono – in forma quasi scultorea – trapassi, torsioni del verbo, innesti semantici e manipolazioni formali che diventano espressione di una costante ma imprevedibile “messa in luce”.

La parola, nel suo farsi centro, determina un volume di significato: si espande nello spazio e nel tempo, rivelando una tensione tra misura e proliferazione.

Le immagini testuali si susseguono come una collana di parole inanellate al filo del tempo, in cui senso surreale e metafisico, vero e insolito, si toccano e si confondono. La lettura procede per sospensioni, deviazioni e meditazioni, evocando atmosfere pittoriche dechirichiane e hopperiane: il pieno enigmistico di de Chirico e il vuoto narrativo statico di Hopper si alternano in una dialettica che restituisce l’assurdo e il vero della finzione visiva.

Le immagini – “Argento sonoro”, “Onda foglia”, “Stella morente”, “Sole creato” – generano scenari immaginativi proliferanti, in cui l’invenzione non ha mai confini netti. In queste zone del dire, i testi si giustappongono in modulazioni grafiche, a volte in forma di calligramma, dove ogni lettera e ogni suono partecipano a una disposizione geometrica che sfida l’inerzia del verso e ne moltiplica le risonanze.

In questa prospettiva, la vera committente di Luce solida, come anche di diverse raccolte del poeta, è l’anima infermabile del tempo e dell’uomo. Egli risponde a questa istanza fluida, mutevole, interiore e cosmica allo stesso tempo, con una parola che si fa organismo in movimento, forma aperta al molteplice.

La poesia si fa diaframma, respiro, battito, vita delle cose, ponendo in atto una dialettica oggetto/soggetto in cui il linguaggio è tutto: materia e senso, corpo e astrazione.

Il risultato è una comunicazione poetica che rilancia l’invito alla presenza, all’attenzione analitica per i segni costitutivi della realtà interpoetica, svelata da sipari verbali infrenabilmente dialoganti.

Le ultime pagine di Luce solida cristallizzano una sequenza di azioni, tempo e versi indipendenti che disegnano peripli, traiettorie, viaggi della mente e del linguaggio, a ribadire quanto sia fuggevole, estroverso e vitale il senso poetico.

Una ricerca, quella di Alberto Mori, che affonda in un humus scandagliato nel tempo reale, in continuità profonda col presente. La sua poesia è parola del tempo: prodotto, consumato, distribuito, dispensato, dispendiato, accelerato. L’effetto speciale è nella parola stessa: nel suo dire inafferrabile, che agisce prima ancora di essere compreso. In conclusione, Luce solida mi esorta ad un ritorno su intuizioni già formulate in diversi miei scritti sulla poesia di Alberto Mori, intuizioni che rimangono “solide”, “illuminano”, evolvono, restituiscono il senso profondo della sua ricerca poetica sulla parola. Una parola che non risponde al tempo, ma lo genera; che non fotografa il reale, ma lo attraversa, lo ricrea, ne misura il battito. Luce solida ne è l’ulteriore e coerente manifestazione.

Luglio 2025


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