lunedì 7 luglio 2025

“Una necessità che incalza”

Annalisa Ciampalini
peQuod 2022

recensione di Flavio Vacchetta



Una buona parte dei versi di Annalisa Ciampalini sono, per usare un termine di moda fino a qualche anno fa, metapoesia: poesia sulla poesia, sulla sua natura, sulle sue forme, sui suoi scopi. Eppure non c’è nulla di più estraneo ai suoi interessi e alla sua sensibilità che la necessitàdi rifondare un ruolo e uno statuto alla poesia. Ciampalini è tutta al di qua della crisi moderna: il problema del ruolo sociale del poeta non si pone neppure.
Per Annalisa la poesia non è, per quanto mi riguarda, vocazione o una questione di ispirazione né tanto meno un fatto di tecnica letteraria, di labor limae: è prima di tutto un bisogno interiore una necessità che incalza, che non dà tregua.
Ne deriva un movimento di costante ricerca, di estenuante, ma mai estenuato inseguimento.
La poesia è una bella donna, continuamente e inutilmente inseguita, che dà appuntamenti sempre mancanti (ma l’ebbrezza dell'innamoramento fa perdonare tutto, fa dimenticare ogni altra cosa).
Essa è un bisogno così prioritario che, al limite, si può scrivere senza sapere di che cosa.
La poesia diventa così una forma di compensazione, di riscatto: e forse, e non per ultimo, occasione di cercare di trovare un mondo migliore.
Ma non per quello che dice, per la possibilità di trasmettere convinzioni, idee, dubbi; piuttosto per come trasforma l'animo di chi la pratica, la legge, la scrive.


L’ISOLA

L’isola ha una grande stagione di sole
un corpo tiepido
dove il tempo si adagia per intero.
L’isola ha un promontorio allungato e tetro
e occhi spalancati verso il settentrione.
Da quella parte, scoscesa e scura,
pescatori accendono fuochi serali
e una notte polare scende
sulle loro case.

Gli altri non sanno del promontorio
e non ricordano il gelo.
Loro hanno altre notti
e mare tiepido per il sole versato.




Questa poesia mi sembra esemplare. Non siamo di fronte all’isola ungarettiana come luogo di superiore e quieto isolamento. L’isola non è vista da dentro, ma da fuori, in viaggio a Citera che minaccia continuamente il naufragio.
La nota più caratteristica di Annalisa è data da questo movimento, ininterrotto, dal sincero sforzo, dall’ansia inesausta, frutto del malessere, da inquietudine, insoddisfazione.
Insomma una poesia ansiosa fatta di domande di non risposte.
La ricerca dell’autrice non si svolge mai lungo una linea trascendente.
Si consuma tutta qui, sulla terra. Lo sguardo è sempre teso a frugare la vita, nella convinzione che non è l’aldilà che chiarifica e giustifica l’aldiquà, ma l’analisi puntuale, paziente dell’aldiquà che può aprire uno spiraglio sull’aldilà.
In altre parole la bravissima Annina contempla la vita per capire la morte.



TUTTE LE COSE CHE CHIUDONO GLI OCCHI


La mia preghiera è il tuo nome
pronunciato chiaramente
la constatazione muta e ripetuta
della casa che ti sta
accanto e si oppone… (p. 20)



Un attimo prima e crescono
un avanzo di tempo
dove si flettono
dimenticano confondono
l’inizio con la fine… (p. 26)



La luce sulla soglia
è promessa di futuro
un sogno bisbigliato
all’orecchio.
Un'alba che vince
la sua stessa agonia… (p. 58)



In fine cito i versi che io preferisco:

Noi dobbiamo
solo restare
vivi
immaginare un luogo
che ci aspetta
e una luce prematura.
Inventare questa gioia… (p.74)



Le forme dell’autrice non sono di questo mondo, a mio modesto parere, ma dell’altro che ci attende. Per questo, Annalisa ce le fa solo intravedere.

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