martedì 12 novembre 2024

Flavio Vacchetta legge "Tutte le cose che chiudono gli occhi" di Annalisa Ciampalini


 

Recensione a cura di Flavio Vacchetta al libro Tutte le cose che chiudono gli occhi (PeQuod, collana Portosepolto pref. di Valeria Serofilli ) di Annalisa Ciampalini



Proprio dell'opera di Annalisa Ciampalini è l'acuto sentimento del tempo, che ne fa centrale meteorologica sensibilissima. Da Ungaretti (sentimento del tempo, appunto) a Leopardi, quello dell'Infinito in ispecie, fino ai primordi umani, il tempo si manifesta alla nostra percezione nell'alternarsi delle stagioni, come nelle poesie di questa raccolta.


L'uomo è misura di tutte le cose, dicevano i filosofi antichi, e questo è vero anche per le unità di misura: si è partiti da braccia, piedi, pollici (il cubito egiziano rappresentava, a quanto pare, la misura del braccio del faraone), fino a giungere oggi a unità di misura ricalcolate e inscritte nelle grandezze fisiche fondamentali, ove l'uomo sembra quasi non avere più parte.


In mezzo, cioè tra il tempo e la sua misura, sta la poesia. Per esempio in Solstizio sovvengono (magari solo nella mia immaginazione piuttosto conformata e ordinaria) i megaliti di Stonehenge, o siffatti calendari astronomici di civiltà che, ancora, guardavano veramente il sole e le stelle.


Ma il tempo è misura del moto, ancora diceva Aristotele, e dunque il tempo si misura nel mutamento, per esempio, sempre fra queste poesie, nelle numerose immagini del fiume e dell'acqua che scorre e circola nel suo perenne ciclo; ma anche i più moderni mezzi di trasporto, l'aereo, l'auto, ripensano e rimodulano lo spazio-tempo.


Infatti, come nel tempo, la poesia lavora nello spazio e negli spazi. I seguenti versi fanno sovvenire la 'cellula di miele / di una sfera lanciata nello spazio' ma anche, più prosaicamente, la canzone 'Il cielo in una stanza':


C’è sempre qualcuno

nel punto immobile del fuoco

a tenere il segno mentre leggo

- eco di voci terrestri

alfabeto di sillabe.

Il cerchio bianco di una cucina

in un tempo fuori misura.


Il fuoco, lo spazio, il tempo, coordinate semplici, elementi primigeni che, mercé il tramite quasi magico della parola, abbattono le pareti di un'occasione (in senso montaliano) domestica. E la misura, come spesso accade, si fa dismisura.


E viceversa:


Mai vorrei occupare

uno spazio più grande di questo [...]

I miei sono luoghi piccolissimi

punti in fuga.


Uno spazio elastico che si dilata e restringe secondo i moti dell'anima. Ancora:


Penso alla mutevolezza del paesaggio in transito

al modo in cui viene assorbita

dalla trasparenza del vetro.

Alle forme che in velocità si assommano

o si elidono.


Ci sono, in tutto ciò, tratti pittorici, ma più inclini all'astrazione, al cubismo o al vorticismo.


Poi, come sempre, lo stile fa la differenza: mi pare di ravvisare in queste poesie una qual certa piacevole eloquenza, frasi rotonde, equilibrate, senza balbettii e borborigmi ma con spruzzi di moderato ermetismo e concettosità. Vi sono anche alcuni inserti in prosa lirica. Dico 'piacevole' (e pure 'eloquenza') senza remore, poiché la poesia non dev'essere melensa ma nemmeno irta e respingente, e questi versi sanno trovare la giusta suggestione e la giusta misura per sollecitare il nostro pensiero e la nostra partecipazione.



Nessun commento: