L’ULTIMA RESURREZIONE DELL’AUTORE (CON NECROLOGIO INCLUSO)
In un'epoca in cui l’“io lirico” è più ingrato di un algoritmo di profilazione, Kolektivne NSEAE si presenta come un riot-text metapoetico e anestetico, un colpo di Stato contro l’ontologia estetica moderna, consumato con l’eleganza chirurgica del disincanto. Ivan Pozzoni scaglia i suoi versi come chiodi nella bara dell’autorialità borghese, più volte defunta, riesumata, riseppellita, riesumata ancora e infine resuscitata già morta, in una parodia necro-letteraria che non ha più ritegno né rimpianto, restituendo alla poesia un’anima sociologica, etnografica, antropologicamente armata. Il lettore qui non è più destinatario, ma naufrago solidale. Non si esce da queste pagine: si affonda con esse, in un moto di exitus collettivo dalla forma-poesia, divenuta monumento alla solitudine dell’ego. Si potrebbe dire, con Adorno, che “scrivere poesia dopo Auschwitz è barbarico”. Ma Pozzoni risponde che è necessario, purché sia poesia senza poiesis, senza aura, senza narcisismo. Nel suo sistema di detriti, insieme composito ed essenziale, Pozzoni somiglia più a Diogene che a Orazio: esce dal barile dell’autore e ci mostra le ossa della parola, fragili, malate, affette da osteogenesi imperfetta. Qui la bellezza non salva il mondo, lo seziona, lo tritura, lo ricompone e lo vomita. Non per disgusto, ma perché non ha tempo di digerire. E da questa massa verbale rigenerata emerge una folla informe, come nella vera, presunta e possibile follia rivoluzionaria: Aquile estinte, Lazzaro tri-resuscitato, Berchet (chi?), il mondadorame tipografico poetico ossidato, Federico Barbarossa in dieta, il faraone Linux, Caronte in trasferta, Jan Palach scintillante, Andreotti riesumato con Spadolini, una coppia di mostri, San Paolo cadente, Marco Ulpio Traiano stradista, Krusty clown detonato, Ezra Pound mano nella mano con un certo Benito appeso, Ulisse col mal di mare, Mario Chiesa che tange valori, Álvar Núñez Cabeza de Vaca saccheggiato, Jana in solitudine… E naturalmente Odisseo, con tutti i guerrieri morti, rimorti, uccisi, rinati, intenti a costruire scale in discesa, a rotta di collo, fino alla sfinge, ultimo e beffardo accesso all’insania. Rino Gaetano vive e lotta insieme a noi. Emil Cioran scriveva: “Ogni stile è una confessione della stanchezza dell’anima.” Questi testi confessano tutto: stanchezza, nausea, ma anche una ferocia trasparente, lucida, che sa di aver rinunciato a salvarsi. Se la poesia moderna ha troppo spesso guardato l’abisso con compiacimento, Pozzoni lo cava a secchiate e ci lava i panni. Ne esce una lingua sporcata, ibrida, affilata come una rima sputata tra i denti. Una raccolta che si legge come un'assemblea, si ascolta come una diagnosi, travolge come una dichiarazione programmatica: non più arte come elevazione, ma arte come interazione sociale e sabotaggio simbolico, a volte anche concreto, perché le parole sparano, sì, più di una stupida arma. In un tempo in cui, come avvertiva Günther Anders, “la nostra immaginazione morale non tiene il passo con ciò che siamo capaci di fare”, Kolektivne NSEAE non consola: denuncia. Lo fa con l'ironia tragica di chi ha già fatto i conti col fallimento, e si ostina, nonostante tutto, a chiamarlo linguaggio.
Roberto Ferrari

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