mercoledì 25 giugno 2025

“quelle sillabe appoggiate all’infinito”

versi  di AR per l’edizione 2011 della kermesse avellanita



Tempo nascosto



Poche note nella giusta frequenza

e vacillo guardando

la finestra scorniciata dal tempo


mi sento concavo

stropiccio le mani

arrossisco e il sudore cade


dalle tempie che pulsano…

alcune vibrazioni e il suono

ti prende: chissà perché


quella combinazione di accordi

quel ritmo

quelle sillabe appoggiate all’infinito


siamo strumenti che a fatica risuonano

dov’è il riflesso? dove il fondale 

e la bellissima rada senza sirene?


È come una perla sulla fronte

di Polifemo

la navicella spaziale senza peso


(qualche centinaio di kilometri 

la separano dalla sfera

del mondo: una questione


di piccole quantità – in assoluto – 

che producono cambiamenti essenziali).

Anche fermi viaggiamo…


Istanbul al tramonto è magnifica

se navighi lento sul Bosforo

due continenti e una fessura di mare.


Ascoltami, ottundi gli spigoli 

stendi la malta fra i mattoni

rigenera il tessuto delle vite


getta ponti sugli abissi incredibili

ritrovati per grazia sull’arca

che fende i monti disciolti.


Lava di pioggia

torpore

polmoni sfiancati


a seguire una direzione

consumati

i piedi nel labirinto


degli alveoli

fino a quattrocentonovanta volte

disposti a perdonare.


Consolare estingue le ore

con il tutto di chi ama:

“Dodì, dodì…”


la bronzea fanciulla invoca

la terra che attende il boccone

sottratto alla falce.


Catapulta le fibre nel gesto 

che specchia i segreti più alti

piegando/piagando il destino.


La madida luna si offusca

riflessa nel porto sbiadito

la gomena sembra tracciare


il limine spesso dell’ombra

avara di slanci

diventa indistinto.


La notte allaga il presente:

“Desidera desidera sempre

la roccia più faticosa


ricerca il tuo varco

percorrilo ricorda

che il fiato è prezioso


assecondalo

dilata la maglia infeltrita

della tua tela 


biologica!

I gigli vestiti di gloria

non ne hanno bisogno.


La dose di lievito aumenta

ti scava e promana

se sposti lo sguardo



ed abbracci.

Cancella i neumi che lugubri

avvolgono le corde


risuona piuttosto di luce 

di pane che fa compagnia.

Condensa e dilata il tuo spirito


nei tratti che salano il bene 

ferisci decurta i sofismi

pregusta la pace degli angeli


sicari innocenti di Satana.”

Noi siamo tessuti dal cielo

da capo torniamo a conoscere.


Spingiamoci oltre lo schermo

con mani aperte al saluto.

Capsula-bolla


rabbia aggredita dal male:

Dove sei?

Le tue parole dilagano


i sensi che vivono.

Regina è con te, Søren,

in aura diversa.


Se fai quel che vuoi

davvero

sei libero dono.


Crome le onde

che catechizzano

la scatola cranica


natanti senza remi

obbligati in galere

grembi incapaci.


Parametri scientifici

abusati da demiurghi

a cui non basta l’orizzonte.


Ah, ah! L’indeterminazione

salva tutto il numerabile

il resto è inconsistente


costruzione che sta su

con l’implementazione dello spirito.

“Apriti, apri il tesoro


sconfina i minuti

conturba la prassi atarassica

devolvi il tuo nucleo di storia


coltiva e non cedere

all’assurda vulgata 

che tarla e fomenta i progetti.


Accetta la nebbia-caligine

rispetta la selva 

che fertilizza la crosta


dello slancio. 

Non ti serviranno siepi

né guru a lunga scadenza


se addomestichi l’anima

ti scorreranno come savane

le misure imprecise del mondo.


Il grado muto dell’acqua ghiacciata

alabastro schematico 

ulula al caldo del sole


un soffio affilato, ecco

una soglia per riconoscersi

poveri di ore e di luoghi


percependo che il nostro cammino

è tenda aperta e i picchetti

non ci appartengono.

Nessun commento: