martedì 19 novembre 2024

La ruvida carezza di una madre: 64 poesie come gli anni dell'autore

recensione di Fausto Nicolini pubblicata su La voce dentro


Chiedo scusa all’autore della silloge se mi permetto di cominciare questo soliloquio sul suo volume da una sensazione assolutamente personale. Scopo della poesia è proprio il tentativo di entrare nelle pieghe della sensibilità altrui: così è accaduto e così l’ho fatta mia. D’altronde, il titolo della raccolta diventa un richiamo per ricordare la madre di Vincenzo Mastropirro, che mai mi ha conosciuto, ma che invece il sottoscritto è riuscito a gustare, pur se a distanza, grazie alle brevi frasi che il figlio scriveva sul suo profilo Facebook, riportando piccoli aneddoti carichi di saggezza popolare, di lapidarie sentenze tanto colorite d’affetto quanto spietate nel giudizio. Trascrivo dalla postfazione di Angela De Leo che, a differenza di me, conosceva Ninetta, donna «coraggiosa, battagliera e volitiva con cui il figlio era solito battibeccare in duetti dispettosi d’amore, ricamo di note tenerissime.»

Ti confesso, caro Vincenzo, che la lettura fugace di quei duetti dispettosi mi manca molto. I brevi dialoghi, oltre a divertirmi, mi avevano fatto riscoprire l’antichità della terra quando si fonde con la verità del linguaggio, la pervicace onestà delle donne del Sud, come tua madre che non ho mai conosciuto personalmente ma che tu hai reso viva e presente nella mia indole meridionale. Mia madre è nata in città, in una famiglia borghese, ed è naturale che nelle sue parole non abbia mai riscontrato il sapore rustico della terra, né la ruvida carezza di un affetto sempre grezzo e sempre verace, autentico come soltanto il frutto caldo di un terreno fertile e bruciato dal sole, sa essere.

Queste sensazioni di figlio, eterne e primordiali, Mastropirro è riuscito a riscriverle, non più in forma di dialogo sulla pagina di un social, ma in versi, semplici e saporiti, per i tipi di Faraeditore, in ricordo della madre scomparsa. Sessantaquattro poesie (come gli anni dell’autore, quando il volume è stato pubblicato) scritte per lei, per la solitudine che ha lasciato, per il senso del distacco che si patisce e per l’attaccamento agli affetti più cari ed intimi che restano e sui quali ci si concentra per beatitudine ereditata. In Se mi conosci… la mamma di Vincenzo non parla più. Lascia parlare, con le sue parole, il dolore del figlio. «La separazione è il principale atto di dolore della vita», annuncia in esergo l’autore, anticipando un’assenza che ancora non trova requie nel suo animo. Se vorrai posso essere tuo figlio sempre… è il primo verso di un canto di speranza, nel quale si può intuire il cammino di quel bambino, quello che piangeva sulle pagine a quadretti, verso le braccia aperte che lo accolsero sin dalla nascita e che sempre lo accoglieranno; quello stesso bambino che ora, adulto, sta per azzardare il più tenero dei ricatti: stringimi ancora con le forze residue delle tue braccia. / Fallo e ti lascerò andare senza lacrime. Ed ecco che il volume diventa quell’abbraccio reciproco senza lacrime, per tanti figli ma con una sola madre.

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