domenica 20 ottobre 2024

Versi che si affidano

Luca Pizzolitto, di queste mie notti insonni, peQuod 2024, copia 39/50, Prefazione di fr. Emanuele (monastero Dominus Tecum di Pra ’d Mill), Postfazione di Massimiliano Bardotti


recensione di AR

Ringrazio subito Luca con trasporto per avermi inviato una copia di questa sua ultima opera a tiratura assai limitata. Si tratta di una raccolta intima, che traccia un percorso in cui possiamo affiancarlo da amici, sentendoci presi dalle sue visioni, dalle emozioni che ci fanno attraversare deserti, superare abissi, trovare quanto è essenziale, ascoltare il sussurro che converte il cuore di Elia (1 Re 19,12).

Scrive Massimiliano Bardotti a p. 63: “… siamo fatti per questo, per sperare fino alla fine, è la nostra natura, siamo fatti per la fede”. In effetti, “perché espiriamo? Perché ci fidiamo” (id., p. 64). Ogni espirazione è necessaria per lasciare spazio ad aria nuova, ma è anche un atto inconscio di fiducia nella successiva inspirazione (p. 65): “Noi siamo testimoni di una continua rinascita, la nostra tempra è la tempra del risorto.”

Il viaggio di Luca consta di tre tappe. Partiamo dall’ultima «L‘altra riva» (in quarta di copertina, v. sopra, troviamo il distico che lo conclude, questo viaggio lucano): “… / nessuno è mai stato / fedele davvero.” (p. 60); “… / tu che abiti il vuoto di cieli divisi / … / nudi alle radici del cielo faremo ritorno.” (p. 58); “Ciò che resta del mio tempo cerca tempo, / dimora altrove.” (p. 51); “… / chiudo gli occhi, appoggio la testa sulla parete / di pietra di questo monastero. // Due monaci cantano il Magnificat: / nel mio corpo, con dolcezza, scende la sera.” (p. 50); “Penso ai giorni in cui non ci siamo arresi, / i giorni in cui abbiamo capito / che il senso delle cose è lì // ci guarda, e non ci appartiene.” (p. 47).

Nella sezione mediana, «Sette ceste», il Nostro interagisce con voci significative (Edith Stein, Margherita Guidacci, Adriana Zarri, David Maria Turoldo, Hugo Mujica, Pierluigi Cappello, Etty Hillesum), cito la parte finale del testo che precede i versi di Edith Stein (p. 35): “Sono stato randagio in terre di misera gioia; sono stato inganno, rabbia senza volto, disperazione – un facile compromesso.”

Dalla prima sezione «Venuti da lontano»: “… / quando lo sguardo / è cielo, e ti piove dentro.” (p. 19); “Dove la notte confina col grano / dove trattieni il respiro / per ogni mancata carezza” (p. 21); “Il nome antico del vuoto, la pietra di sangue / dove il tempo passa nel tempo, l’anfora vuota, / il pozzo di Sicar –” (p. 26).

Anche solo dai lacerti che ho estirpato alle notti insonni di Luca, penso si noti il lavoro di alleggerimento (di parole non necessarie), svuotamento (di sé, direi proprio di smascheramento delle sovrastrutture a cui ci sottoponiamo, sapendo come cambi il nostro modo di porci a seconda dei contesti), di spogliazione (degli abiti in cui ci troviamo più o meno a nostro agio, anche solo per quieto vivere).

Nelle pagine introduttive si fa riferimento a un prima e un dopo il trentasettesimo compleanno, un periodo di crisi “a lungo pensato come disgrazia, follia, maledizione” che si è rivelato “al contrario, un tempo – il mio tempo – di grazia, benedizione” (p. 14).

Ogni persona che si immerga in queste pagine verrà letteralmente gettata nel nucleo più inquietante (e più vero) di sé, e se la paura e la fatica di questo processo di autoconoscenza non possono essere evitate, Luca ci ricorda (p. 20) che “… / nel vuoto di un cuore che è fame, / inquieto stare in tutte le cose // ora nasci tra le mani Dio”.

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