La notte oscura di Maria (puntoacapo ed., Pasturana, 2021) di Giuliano Ladolfi propone, in una
scansione di versi pacati carichi di immagini potenti nei quali si evidenzia il
chiaro pathos dell’Autore, i passi dolorosi della madre per eccellenza, Maria,
all’approssimarsi alla caduta terrena del figlio, dopo il Golgota subìto.
È
– come ben anticipa l’Autore – una notte di dolore e spietatezza, di angoscia e
di struggimento in cui la tonalità che tende a dominare è il nero del buio e
della notte. La morte del Cristo è collocata su una scala cromatica che è
annunciata da un progressivo imbrunirsi sino a giungere a una totalità fosca e
compatta che è quella delle tenebre. Eppure questo momento di annullamento completo
della luce non si sovrappone allo scoramento totale dell’animo della povera
donna che, forte dell’esperienza umana e religiosa, a suo modo sa accettare il
sacrificio toccato al figlio e intravederne un senso. Un messaggio di luce e
speranza.
Tutto
questo ha una sua valenza allegorica in cui la caduta del Cristo viene ad avere
un valore più ampio, ben al di là del mero sentimento e dell’appartenenza
religiosa, quale reale caduta dell’umano nei termini di una crisi collettiva –
in particolare – dell’Occidente. Giulio Greco, prefatore dell’opera, a tal
riguardo ha rivelato che “La […] civiltà occidentale […] ha smarrito i punti di
riferimento […] la sproporzione abissale tra le aspettative umane di un Dio
onnipotente, buono e misericordioso e un Dio sofferente, privo di ogni potere”.
Giuliano
Ladolfi è autore di lungo corso, intellettuale di comprovate capacità
stilistiche e creative, il cui impegno in campo culturale rappresenta una pieta
miliare del suo intero percorso umano. Nato a Novara nel 1949, ha diretto vari
istituti di scuola superiore. Già titolare della cattedra di Pedagogia e
Didattica di Storia dell’Arte e di Tecniche di scrittura all’Accademia delle
Belle Arti di Novara. Ha pubblicato varie raccolte di poesie – il suo esordio,
con Paura di volare. I ragazzi dell’Ottantacinque – è datato 1988. Tra
le altre opere si ricordano Il diario di
Didone (1994) e Attestato (2005;
2015), quest’ultima tradotta in varie lingue tra cui lo spagnolo, il francese e
l’inglese. Due sono le sue creazioni più importanti che hanno contribuito ad
arricchire lo scenario culturale nazionale: la fondazione, nel 1996, della nota
rivista di poesia, critica e cultura «Atelier» con la quale ha dato
pubblicazione a più di un centinaio di saggi e interventi sulla letteratura
contemporanea e quella, nel 2010, a Borgomanero (NO), assieme a Giulio Greco, della
casa editrice che porta il suo nome (Giuliano Ladolfi Editore) che ha
pubblicato una grande quantità di volumi di autori contemporanei, tra autori
consacrati, emergenti ed esordienti. Tra i lavori di critica si ricordano L’opera comune. Antologia di 17 poeti nati
negli Anni Settanta (1999) e Per un nuovo
Umanesimo (2009). Quale giornalista collabora alla pagina di cultura del
quotidiano «Avvenire».
Così
recita Maria nelle prime pagine, in una sorta di dolente monologo interiore: “Non piango per la morte di mio figlio, / ma
anche per il buio che mi ha invaso / e che di respiro in respiro mi possiede”
(12).
Ed
ecco i dilemmi pressanti e sempre attuali che già l’io lirico, nelle vesti
della Madre celeste, avanza: “Che cosa
sopravviverà / all’inabissamento universale?” (23) e poi, dinanzi
all’annebbiamento della mente dinanzi a tanta barbarie: “Ma chi era questo figlio? / Neppure più riesco / a delinearne il volto
/ […] / Anche egli è nato per morire / salendo sulla croce, Lui” (28). Sono
domande gigantesche, che non trovano difficoltà di riscontro dirette e
pratiche, ma che consentono alla donna dolente di approfondire il suo dolore,
di viverlo in profondità. La poetessa palermitana Franca Alaimo ha scritto: “è
in quell’incalzare esasperante delle domande che si può individuare la sete
ancora intatta d’Assoluto, la brama dell’anima di non infrangersi contro il
limite del morire, consapevole, nonostante tutto”[1].
La
totalità invalicabile del buio viene, allora, infranta da fenditure imprecisate
che lasciano intravedere la potenza della vita: “La morte è il solo spiraglio di luce. / […] / Quale giudizio ti ha
inchiodato / su quella croce?” (35).
Una
consistente parte dei versi contenuti nella plaquette fa propria l’isotopia e
la negazione della luce, con riferimenti, momenti d’assenza e smarrimento e
altri di ritrovata fiducia e di speranza nella fede, nonostante l’indecoroso
sacrificio del Cristo e il mistero della sua esperienza: “Ho vissuto il resto della vita / cercando un senso al mistero di un
figlio / dal fulminante sguardo, / dalle carezze turbinose; / ora mi trovo a
non più credere / come speranza devastata” (46).
Il
noto poeta Ivan Fedeli, che arricchisce il volume con la sua postfazione, parla
di una “Maria immensamente umana e colta
dal dubbio” che “da madre entra con
il figlio nel sepolcro, prova la morte – che è morte sua più che del figlio – e
non ha prospettive altre, se non nel ricordo o nel dubbio”. I “quadri poetici” come li definisce lo
stesso Fedeli, proprio per la loro grande capacità mimetica e funzione
rappresentativa da fare il tessuto in versi così vivido e palpitante,
descrivono la storia di un dolore inumano e straziante che non ha nulla di
astratto e lontano. È il supplizio di Maria ma anche quello di tante donne in
tutta la storia dei nostri tempi, dinanzi ad aberrazioni e incomprensioni
diffuse attorno a eventi drammatici che s’imprimono come trauma, che sopravvive
“anche grazie ai tanti interrogativi
aperti e irrisolti”.
Lorenzo Spurio
Matera, 15/05/2024
[1] Franca Alaimo, Recensione a Giuliano
Ladolfi, La notte oscura di Maria,
in «Atelier Poesia», 18/11/2021.
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