Antonio Fiori, La stessa persona, peQuod 2024, collana Portosepolto, volume a cura di Luca Pizzolitto
recensione di AR
Con questo Epitaffio in attesa di lapide (p. 57), si conclude l’agile e sfrigolante opus di Antonio Fiori. Quando si è capaci di chiedere perdono a un padre che ti chiede perdono (cfr. Ho un padre salvato da un angelo, p. 54) si è raggiunta una consapevolezza di vita sensibile e profonda che sa accogliere con gioia e commozione ogni vibrazione dell’anima: “A volte, all’improvviso / piangiamo come bambini / – come chi è innocente.” (Chiediamo perdono senza ragione, p. 50).
Meravigliosamente intense sono infatti le sensazioni-ricordo di Antonio: ci apre il suo mondo con cuore fanciullo, la saggezza della maturità e un sorriso benevolmente scettico sul potere consolatorio della poesia, quando confessa “l’illusione / che un giorno, all’improvviso / il verso di qualcuno / risponda alla domanda / che ti assale.” (Che la poesia consóli, p. 47). O quando afferma con puntuta ironia: “Non più consumatori / bensì definitivamente / cosumati” («Urna cineraria», p. 43); “Tutto è postremo / nell’apocalisse quotidiana / – senza tempo futuro, tutto ci chiama.” (Se in un minuto il fossile si sgretola, p. 42).
La lingua è tersa e scavalca nell’oltre (“se ti aspetto da tanto / è perché Ti credo.”, Se non sento e non vedo, p. 44), nel sogno (A volte mi sogno in fuga disperata / e come Caino non so dove nascondermi.”, p. 35), nei cieli (“Ci incontreremo ancora / ma non nel futuro / – saremo di nuovo insieme / nel nostro passato. // Un giorno, chissà, ci vedranno / dal telescopio puntato / su questo pianeta / – con un solo sguardo violando / il tempo e lo spazio.”, p. 37, poesia davvero splendida e stellare che ho citato integralmente).
Con suoni leggeri e intrusivi, i versi del poeta sardo tirano fuori dai nostri recessi negletti la capacità di stupirci ancora, il desiderio innato di sapere il perché delle cose, il considerare con Petrarca che sì, ciascuno riconosce sé stesso, ma al contempo deve ammettere che “era in parte altr’uom da quel” che è oggi (cfr. Canzoniere, 1): si veda ad es. il verso posto a titolo di questa recensione, tratto da Non ho più il tempo di prima (p. 16).
Sotteso è il desiderio di vivere i giorni che ci sono dati con tutta la pienezza di cui siamo capaci, sapendo che nessuno è indispensabile ma può essere un fattore di bene, di attenzione, con il suo timbro unico: “– cerca ogni giorno te stesso / negli occhi degli altri.” (Non dirmi niente, lo vedo che sei stanco, p. 14)-
Con questo distico che trovo così vero, emozionante e intrinsecamente evangelico, lascio a te che leggi il piacere di calarti ne La stessa persona dove “Anche il tempo si è fatto altro.” (ivi).
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