I libri di Grazia Procino rimandano sempre alla mitologia greca sia pure in pochi versi, ma quest'ultimo poemetto dal titolo Filottete ovvero i vuoti ancora da sfamare, editore Pequod, si apre con la dedica all'eroe greco che diventa metafora di una solitudine non voluta eppure gestita con dignità fino alla fine dell'isolamento.
Al primo paragrafo intitolato Poemetto in cui la nostra descrive gli eroi di questo mito e le loro vicende personali facendoli parlare in prima persona,seguono cinque altre sezioni del titolo L'ingiusta sorte dei vinti, Nel nome del dolore, La fatica per la felicità, La morte fatale, La cognizione del dolore.
Anche nella seconda sezione l'autrice fa parlare alcuni personaggi sconfitti, in prima persona, mentre nelle restanti quattro sezioni le tematiche restano le stesse : il dolore della ferita, la morte, l'abbandono, ma vengono contestualizzate ai giorni nostri. I vicoli corti sono brulicanti di voci mendicanti di rumori nel viavai frenetico di donne che si ingegnano a stare al mondo tu ridi Io pure al gioco beffardo della morte nel nome del dolore ti chiedo di non arrenderti prima che il vento gelido sconvolga le tue chiome e l'urna accolga le tue sfatte membra. Traspare da questo componimento la voglia di non arrendersi e ancora si legga a pagina 33 "anche se mi esercito tradurre/ l'approdo al dolore/ mi sfugge o/ io mi allontano risoluta/ vorrei catturare l'angolo di luce/ e farlo durare/ accendere bellezza/ mangiare per le strade assolate/ con il mare addormentarmi /oppure parlarci /accogliere le voci spoglie /Io vado in cerca dell'umano/ tra voli inceppati e brulicare di sogni. " Ma la poetessa non si limita a rifiutare la resa e a cercare l'umano, lei si immedesima nella missione della notte e ne abbraccia la fatica per la felicità.
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