Anita Piscazzi, L’erranza, Pequod 2023, collana Portosepolto a cura di Luca Pizzolitto, prefazione di Andrea Di Consoli
recensione di ARL’erranza è un viaggio stimolante, insidioso, sorprendente e “ricco” di deviazioni, come capita a ciascun viandante: errando si fa esperienza, si scoprono i limiti (che sono anche il carburante del desiderio), si impara a chiedere aiuto, si scandaglia il cuore nostro e altrui. La poesia che chiude il libro (p. 65) recita: “Quello che accade nel giardino / del cuore, // apre delle voci che lasciano un segno, // un oltre da attraversare e il tempo / sarà presente.”
Precedentemente (p. 62) Anita afferma: “L’immagine è un imbroglio, / nel cammino l’esistenza / è vendemmia dell’inconscio.”
Qualche pagina prima (p. 59) ci viene posta una domanda importante. “L’occhio cerca nel mondo il suo profumo / per vedere l’invisibile. // Tu cosa cerchi con tanta cura?” (ovviamente il tu è anche soggettivo).
A p. 54 abbiamo versi stupendamente apocalittici (nel seno etimologico, ovvero rivelatori): “Ciò che la primavera fa agli alberi, / l’invisibile lo fa alla luce. / (…) tutto l’universo resta nello spazio a catturare / i corpi sonori del silenzio”. E a p. 51, parlando del suo smarrimento Anita confessa: ”Illumino. Illumino qualsiasi viso // sono tesa agli influssi dello spirito, / ho voluto che si risvegliasse.”
Non a caso l’esergo della sezione conclusiva “Postlude” da cui abbiamo finora citato si apre con un esergo di Yalal ad-Din Rumi: Non lo sai ancora? / È la tua luce che illumina il mondo.
Risaliamo alla prima sezione, “Assolo”: “Così pensando e andando / in te, primo angelo // spalanco il mio cuore buissimo, / l’eterno sbatte nella tua ala.” (p. 35); “Sto come ogni cosa che brucia.” (p. 25); “La misura del tempo è andare e restare.” (p. 22): “la vanità è la morte del ricordo. // Ogni cammino ha un suo abisso / e una porta da varcare, / ma io ascolto solo te / che non esisti e solchi / la mia strada.” (p. 21). Quest’ultima citazione è tratta dalla poesia che inizia con Ogni profilo respira sui rami ed è fra le più belle e intense dell’Erranza costellata da immagini e visioni che si imprimono in noi profondamente: “dove vanno le voci dei morti / che ogni notte si addormentano con me?” (p. 19); “non posso che tacere / non sono adatta a questa forma, / impressione di grazia” (p. 14), “Il petto degli altri è un lupo.” (p. 13).
Anita Piscazzi ci offre una raccolta che, come una sinfonia, è composta di movimenti, e questi di frasi; ci fa sostare in intermezzi ariosi o inquietanti; ci disvela la sua anima in assoli e ritornelli che ci affascinano e ci turbano, perché come troviamo nell’esergo che apre la prima sezione: Conosciamo noi stessi solo fin dove / siamo stati messi alla prova. / Ve lo dico / dal mio cuore sconosciuto.
(Wisława Szymborska)
PS Il distico che abbiamo posto a titolo di questa recensione chiude la poesia a p. 23 che inizia col verso Multiforme è la menzogna del mondo. Interessante notare l’ambiguità sintattica della parola “spesso” che può essere interpretata sia come aggettivo e che come avverbio.
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