lunedì 19 giugno 2023

Su L’occhio verde dei prati di Donatella Nardin



Donatella Nardin in Tra cima e fondo

Poesia della perdita - fatica - fragilità

Donatella Nardin ha scelto queste parole per riassumere il suo nuovo libro di poesie: L’occhio verde dei prati - Fara 2023 (Angela Caccia)

È un compito davvero arduo tentare di riassumere in tre parole questa mia ultima raccolta poetica.
Mi risulta infatti difficile staccarmi dai testi e, con sguardo neutro, tentare di evidenziare ciò che nell’atto creativo - “che sia sassopietra o nuvolafiore” come annoto in un verso della lirica incipitaria L’occhio verde dei prati - ha dato vita alle poesie e che poi, come spesso avviene, attraverso limature, aggiunte o sottrazioni, ha acquisito significato e pregnanza.

In quale misura davvero non so dire. Anche se, come afferma Carla De Angelis nella sua presentazione “sono versi che si leggono d’un fiato tanta è l’armonia e la delicatezza/dolcezza che li contraddistingue.”

Scarnificando e spremendo il tutto fino all’osso - e tenendo conto di un aspetto cogente in quanto i testi sono stati scritti nel periodo pandemico durante il quale ho anche subito dei gravi lutti - potrei affermare che si tratta di poesie della perdita, della fatica dello stare al mondo in pienezza e della conseguente fragilità. (continua su Tra cima e fondo)



La poesia è anche incontro, una geometria di rette a volte parallele, altre volte perpendicolari. Similmente al quadro di Mondrian un reticolato vivo e riccamente colorato. Nell’ambito della rubrica Versi Trasversali, presentiamo la poesia di DONATELLA NARDIN (Deborah Mega

L’occhio verde dei prati

L’occhio verde dei prati, risvegliato,
fa nido bevendo la nuda
chiarità del mattino
come le vite care appese alle finestre
del loro infinito mancare,
come il biondosole, amore riverso
tra le scapole azzurre rotte
da assenze, commiati, afasie.
Ringraziare ogni risveglio che sia
sassopietra o nuvolafiore,
nell’attimo essere immensamente
grati – ai prati, al mondo, fosse
pure ai respiri affannati –
prima che il verde esca dagli occhi
come le vite care divenute
allo sguardo pura nostalgia.

(continua su Limina mundi)



Nell’eliotiana waste land che è il presente di Donatella Nardin, in cui «nessuno / sussurra più» il bene e il cielo è «infuocato da guerre / e da siccità», è alle madri, forze archetipiche e rigeneranti, che è affidato il compito della salvezza terrena (Infanzia violata). È su di loro che la poetessa carica e proietta la speranza, altrimenti sottile e muta (così in Tra cuore e bocca). Anche se talvolta non riescono a salvare («non bastò, non bastò la madre»), è comunque in loro che la fiducia viene programmaticamente riposta: «Scegli per me tra tutti i possibili / mari futuri quello dei baci […]». Per Fortini la speranza era l’accertamento di un vuoto; per Camus una comoda illusione cristiana; per Amelia Rosselli «un danno forse definitivo»; per Nardin è qualcosa che non muore solo se è gratuita. Un’idea forte e interessante: se la speranza è materia di scambio o richiede una contropartita; se diventa il frutto da contendersi e su cui accordarsi a un faticoso tavolo multilaterale; se decade in purezza perché sottoposta alle oscillazioni del mercato; allora, suggerisce Nardin, parliamo di un’altra, ibrida, falsa e vuota cosa. Le madri, facendo «mondo altrove», come recita il bellissimo verso della poesia a loro intitolata, rendono gratuita la speranza.

(continua su Licenza poetica)

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