Fara Editore, Poesia, pagg. 144
ISBN 978-88-9293-031-5
Prezzo Euro 13,00
recensione di Renzo Montagnoli
pubblicata su Arte insieme
La sacralità della natura
Donatella Nardin sembra avere una particolare passione per la natura e per le interazioni fra la stessa e gli esseri umani; ho potuto notare questa sua attitudine con le precedenti sillogi Terre d’acqua e Rosa del battito. Non è quindi per nulla strano la riproposizione di questa tematica con la nuova raccolta L’occhio verde dei prati il cui titolo è già di per sé molto esplicativo ed è quello della poesia iniziale (L’occhio verde dei prati, risvegliato, / fa nido bevendo la nuda / chiarità del mattino / come le vite care appese alle finestre / del loro infinito mancare, / come il biondosole, amore riverso / tra le scapole azzurre rotte / da assenze, commiati, afasie. / …). Peraltro, proprio da questi versi emerge un elemento nuovo, lo stile che cerca di rompere con il passato per giungere a un linguaggio espressivo più immediato, ricorrendo a termini più ricercati, come nel caso di “chiarità” che ben esprime la trasparenza e la luminosità dell’aria, o addirittura ne conia di nuovi, unendo un sostantivo a un aggettivo, “il biondosole”, sempre con lo scopo di trasmettere con più efficacia il messaggio insito nella lirica.
In quest’ottica, nella costante immersione della natura che ci circonda, la poetessa giunge a proporre un caleidoscopio di colori, che vanno dal giallo di Una granita al limone all’azzurro del cielo di Per un attimo almeno. Sarei però molto incompleto se mi limitassi a evidenziare questa immersione della natura e se non parlassi anche delle sempre presenti interazioni con la stessa degli stati d’animo esposti con visioni di ciò che ci circonda, come nel caso di Il nettare biondo (Piovvero allora diafane / lacerazioni sui volti / inerti, sottili. / Fu un avvinghiare di nuvole / dall’amaro risvolto / quel non essere presenti / alla vita, spillare a fatica / dai succhi sapienti il nettare / biondo per poi misurarne / l’audacia. / Orgoglio di malcelata / mestizia, fu un deporsi / sul fianco abbacinato del poco / il patire tacendo per anni / e anni e secoli ancora.) Come dice bene Carla De Angelis nella sua prefazione si ritrova in questi versi, ma anche in tutti quelli della raccolta, la sacralità della natura, la grande madre di noi tutti che spesso dimentichiamo e consideriamo serva dei nostri voleri e piaceri.
Questo concetto, che sta prendendo piede e che è un ritorno a considerarci non al di sopra, ma parte della natura stessa, mi consola, perché l’uomo sta piano piano ritrovando il suo ruolo nel caos perfetto della creazione e in quanto tale ricomincia ad apprezzare nel giusto modo il piacere di vivere.
Da un senso della vita puramente materiale ed edonistico che caratterizza la nostra società si passa così nella poesia di Donatella Nardin a una visione trascendente, a un’Arcadia contemporanea di un mondo in cui la natura, che a noi sembra diventata nemica, è invece il catalizzatore indispensabile per una nostra redenzione, per un ritorno a quei valori e a quei sentimenti che la pura materialità non ha cancellato, ma solo celato.
La poetessa conferma quindi ancora una volta, e in modo ancor più esplicito, la sua visione della vita, il senso da dare alla stessa, quelle sensazioni ed emozioni che riusciamo a cogliere in noi solo se siamo in grado di comprendere che il mondo non siamo noi, ma che noi siamo parte del mondo.
Da leggere, indubbiamente.
In quest’ottica, nella costante immersione della natura che ci circonda, la poetessa giunge a proporre un caleidoscopio di colori, che vanno dal giallo di Una granita al limone all’azzurro del cielo di Per un attimo almeno. Sarei però molto incompleto se mi limitassi a evidenziare questa immersione della natura e se non parlassi anche delle sempre presenti interazioni con la stessa degli stati d’animo esposti con visioni di ciò che ci circonda, come nel caso di Il nettare biondo (Piovvero allora diafane / lacerazioni sui volti / inerti, sottili. / Fu un avvinghiare di nuvole / dall’amaro risvolto / quel non essere presenti / alla vita, spillare a fatica / dai succhi sapienti il nettare / biondo per poi misurarne / l’audacia. / Orgoglio di malcelata / mestizia, fu un deporsi / sul fianco abbacinato del poco / il patire tacendo per anni / e anni e secoli ancora.) Come dice bene Carla De Angelis nella sua prefazione si ritrova in questi versi, ma anche in tutti quelli della raccolta, la sacralità della natura, la grande madre di noi tutti che spesso dimentichiamo e consideriamo serva dei nostri voleri e piaceri.
Questo concetto, che sta prendendo piede e che è un ritorno a considerarci non al di sopra, ma parte della natura stessa, mi consola, perché l’uomo sta piano piano ritrovando il suo ruolo nel caos perfetto della creazione e in quanto tale ricomincia ad apprezzare nel giusto modo il piacere di vivere.
Da un senso della vita puramente materiale ed edonistico che caratterizza la nostra società si passa così nella poesia di Donatella Nardin a una visione trascendente, a un’Arcadia contemporanea di un mondo in cui la natura, che a noi sembra diventata nemica, è invece il catalizzatore indispensabile per una nostra redenzione, per un ritorno a quei valori e a quei sentimenti che la pura materialità non ha cancellato, ma solo celato.
La poetessa conferma quindi ancora una volta, e in modo ancor più esplicito, la sua visione della vita, il senso da dare alla stessa, quelle sensazioni ed emozioni che riusciamo a cogliere in noi solo se siamo in grado di comprendere che il mondo non siamo noi, ma che noi siamo parte del mondo.
Da leggere, indubbiamente.
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