domenica 16 aprile 2023

Una recensione di Daniele Beghè al Libro di Sabbia (Bertoni Editore) di Marilyne Bertoncini

 


Per fortuna non sono un critico e quindi mi posso  avvicinare all’ultima opera di Marilyne Bertoncini  senza fingere una falsa distanza.  Non voglio nascondere minimamente l’affetto  e la ormai annosa e sincera amicizia  che mi lega a  Marilyne. Inoltre manifesto senza pudore il debito di riconoscenza per Marilyne che essendosi subito interessata ai miei testi, mi ha tradotto e fatto pubblicare su diverse prestigiose riviste francesi.  Marilyne, che vive a Nizza, è approdata a Parma per i casi della vita  e continua a frequentarla con assidua regolarità. È un vulcano di iniziative  legate alla diffusione della poesia sul piano planetario. Di questo suo attivismo culturale si sono giovati la maggior parte dei poeti parmigiani di colpo immessi in un circuito internazionale.

 

Sgombrato il campo da ogni fraintendimento, provo a dire  qualcosa sull’ultima raccolta di Marilyne Bertoncini, “Il libro di Sabbia”. “Il libro di Sabbia” è il primo titolo di Marilyne Bertoncini pubblicato da un editore italiano, precisamente da Bertoni Editore, nella collana Poesia Lab, diretta dal poeta e critico, parmigiano d’adozione, Luca Ariano e presenta una bella prefazione, quasi un piccolo saggio, del poeta, anch’esso parmigiano,  Giancarlo Baroni.  

 

“ Il libro di Sabbia” presenta una lingua allusiva, che tende a richiamare sensazioni , più che a far vedere, ma  anche precisissima, proprio di chi l’italiano lo ha imparato per passione, magari  in età adulta (Marilyne ha aggiunto al bilinguismo francese-inglese anche l’italiano) , privo di inflessioni territoriali,  di forzature  verso registri alti o bassi della lingua, ne esce un respiro rotondo,  senza asperità, che bene si attaglia al sentimento dei testi. Un sentimento di sfaldamento della vita nel tempo, nello spazio, di cui l’autrice  cerca di proteggere, di mantenere, di curare un segno. Allora la sabbia, che è ad un tempo frutto di erosione e materiale da costruzione, fa avanti e indietro nel rigiro della clessidra. Il trascorrere del tempo, l’attraversamento dello spazio sembrano non avere un’unica direzione, ciò che si corrode nell’esperienza del visibile si ricompone nel sogno e viceversa, quasi in una continua sfida al principio d’entropia. Questa è  la magia della poesia di Marilyne, che sembra librarsi in un tempo senza tempo, in uno spazio insieme minuto ed infinito.

 

La poesia di Marilyne Bertoncini sembra prendere spunto da una favola senza inizio e senza fine, senza una morale se non quella dell’imprendibilità del tempo  e dello spazio: la favola di Sabbia , la donna duna, fiamma di cenere, la cui immagine si esaurisce  nell’ombra vagabonda da cui origina una  narrazione inafferrabile. La poeta si fa voce di Sabbia, della quale si dice figlia, una voce  che richiede solo di essere ricettivi per immergersi in un ricchissimo immaginario.

 

Un immaginario che forse origina dalla passione che Marilyne Bertoncini non nasconde per la poesia   italiana del ‘500 e allora ritroviamo figure fantastiche come l’uomo-cavallo, il cavallo blu, il nano gobbo, il nero pagliaccio dallo sguardo d’oro,  Re Cervo. E poi moltissimi uccelli ( la volatilità del tempo e dello spazio? ): ciuffolotti, cince, aironi, pavoni, rondini, piccioni e colombe; e pietre: ametista, lava d’ossidiana, quarzi. Tutti questi elementi sono di volta sfondo o figura che prende corpo nei versi. Soprattutto incontriamo fiori  immaginifici: gli occhi fiori di Sabbia, Lilla/Laila; e reali: fiori di lino, menta, salvia, edera, tulipani, rose di brughiera. Un insieme che è al tempo stesso sfondo e sostanza fluida del vagare senza tempo nel tempo e senza direzione nello spazio.

 

L’effetto che si crea è quello di una poesia-mantello, le pieghe sono un topos più volte ritrovato nella poetica di Marilyne, che avvolge i pensieri, che tiene dentro la realtà coi suoi drammi, indispensabili all’esistenza, ma tiene al caldo anche i ricordi e l’essenza dei sogni, egualmente indispensabili.

Daniele Beghè

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