Recensione al libro di poesie di Lorenzo Spurio, dal titolo: “ TRA GLI ARANCI E LA MENTA – Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca”, Collana L’Appello – Poetikanten Edizioni dell’Associazione Culturale Ilfilorosso di Rogliano (CS), Seconda edizione Anno 2020, Euro 10,00, pagg.65.
«[…] Lungo una strada va/ la morte incoronata/ di fiori d’arancio appassiti./ Canta e canta/ una canzone/ sulla chitarra bianca,/ e canta, canta, canta.// Sulle torri gialle/ tacciono le campane.// Il vento con la polvere/ compone prore d’argento.» (Dalla poesia Clamore di Federico García Lorca, tratta dal libro monografico n°5 Federico García Lorca – POESIE, Collana “La Grande Poesia – Corriere della Sera”, Edizione speciale per il Corriere della Sera, RCS Quotidiani S.p.A. di Milano, Anno 2004, pag.49).
L’omaggio poetico che il saggista
scrittore critico letterario della provincia di Ancona, Lorenzo Spurio, ha
voluto dedicare a uno dei più importanti personaggi della letteratura spagnola
del primo Novecento, Federico García Lorca (1898-1936), assomiglia alla
magistrale e temeraria entrata dell’abile surfista nella galleria d’acqua
provvisoria dell’onda ‘perfetta’, fino a percorrerla tutta prima del suo rovescio
sulla superficie marina.
Gli
aranci sono in
riferimento alle terre calde che li producono, terre assolate dove gli inverni
sono miti come la nostra Italia del Sud, le regioni mediterranee, piuttosto che
la Spagna dove sul finire dell’Ottocento nacque, nei pressi di Granada in
Andalusia (zona della Spagna meridionale) colui che divenne il poeta e non
solo, Federico García Lorca, della vita con tutte le sue inquietudini
soprattutto imbevuta di pianto e di sangue, di paesaggi coi suoi fiori frutti e
plurimi colori, di giustizia mancata e di surrealismo che s’andava affermando
in quegli anni del secolo moderno – lo scrittore andaluso fu amico fraterno
dell’artista catalano inquieto e stravagante surrealista, Salvador Dalì, a cui
destinò la sua prosa poetica titolata Ode
a Salvador Dalí.
La
menta perché probabilmente in mezzo a tanta inclemente arsura di terre
infuocate dai raggi solari, essa come erba aromatica rappresenta la freschezza
dei luoghi umidi dove nasce e così la figura eroica-letteraria dello stesso
Lorca si staglia dal gruppo dell’oltre la decina di liriche che il poeta Lorenzo
Spurio ha composto per Egli, morto prematuramente all’età di trentotto anni e che
fece parte della memorabile “Generazione del ‘27” all’indomani
dell’instaurazione del regima franchista contro la Repubblica dando il via alla
guerra civile durata fino all’aprile 1939; cosicché il 19 agosto 1936 venne crudelmente
fucilato il poeta Lorca dai sostenitori del dittatore Generale Francisco Franco
(solo dopo la morte di quest’ultimo nel 1975 finalmente la produzione
letteraria di García Lorca ha potuto meritare la divulgazione e il mondiale
riconoscimento) a qualche chilometro da Granada, allacciandosi idealmente al
celebre dipinto del precedente artista spagnolo ritrattista della famiglia
reale di Carlo V, Francisco Goya, del 1814 titolato Fucilazioni del 3 maggio.
Dicevamo
della rassomiglianza con l’immagine del provetto surfista perché i versi di
Lorenzo Spurio diffondono un equilibrio perfetto in sintonia con quelli di
Federico García Lorca: nel versificare la territorialità, gli ambienti caldi andalusi
di Lorca il poeta delle Marche s’è unito all’universale respiro letterario
ardente lorchiano fatto di attimi stillanti musicalità, dramma, simbolismo,
surrealismo, ermetismo, passione lacerante e lacerata da improvvisi colpi di
scena tra cui, fra i tanti, la morte per ferimento alle cinque della sera
durante l’esibizione tipica spagnola, la corrida, dell’altro suo carissimo
amico torero Ignacio Sánchez Mejías, a cui dedicò una lunghissima struggente
poesia (1935), divisa in quattro parti, carica di valori correlati alla vita
stessa fatta di dolore e di lotte.
Così
ha composto il poeta Spurio in relazione a quell’episodio: «[…] Nelle
tribolazioni invereconde e nella polvere/ paraventi di luna che fugge alla
notte/ incunaboli di dolore in tabernacoli di pianto/ il fluido rosso
fondamento di sacrificio.// Nelle cuevas gitane l’umidore sembrò
placarsi;/ quella sera la luna non si presentò/ talmente impaurita preferì
nascondersi/ ma alle cinque, tu, dov’eri? » (Dalla poesia La luna si
nasconde, pagg.18-19).
Per
comprendere appieno i testi poetici della silloge in questione dell’autore
iesino, bisogna prima conoscere la breve eppure complessa esistenza del poeta
Federico García Lorca, che crebbe in una famiglia dove non c’erano problemi
economici dato che il padre era un ricco possidente terriero e la madre,
seconda moglie, era insegnante ma di salute cagionevole per cui il piccolo
Federico venne allattato dalla moglie del responsabile di un’azienda agricola,
che aveva il compito di controllare i subalterni, e forse soprattutto per
questo il poeta da adulto divenne il propugnatore del concetto d’uguaglianza
tra gli uomini: dai gitani ai negri, agli ebrei, alla gente più umile…
La
madre lasciò l’insegnamento per dedicarsi con cura all’educazione del figlio,
trasmettendogli l’amore per la musica (il pianoforte) e stimolandogli una
grande sensibilità, anche perché Federico García Lorca nacque sotto il Segno
zodiacale d’Aria dei Gemelli, il 5 giugno 1898 a Fuente Vaqueros, votato alla
parola, ai viaggi, alla curiosità, al protagonismo con già una platea interiore
pronta ad applaudirlo, all’amicizia, alla novità sotto tutti i punti di vista.
La
corrente surrealista, in ambito artistico e letterario, si fece largo dopo il
primo decennio del Novecento in Francia, a proposito del poeta scrittore
critico d’arte, Guillaume Apollinaire (1880-1918), che usò per primo il termine
sur-réalisme e man mano entrarono a farne parte le teorie inerenti
l’inconscio grazie specialmente alla psicoanalisi di Sigmund Freud, l’immaginazione
liberata dalla ragione, la casualità, il sogno e in Spagna uno dei più
importanti pittori surrealisti fu, appunto, Salvador Dalí, ammiratore sin
dall’epoca universitaria di Lorca, il quale prima si iscrisse alla facoltà di
Giurisprudenza poi passò a quella di Lettere, insieme al regista Luis Buñuel e
un’altra importante amicizia di García Lorca fu quella col poeta cileno Pablo
Neruda, più giovane di lui di sei anni e che visse fino al 1973, conosciuto a
Buenos Aires e rivisto a Madrid nell’ultimo paio d’anni della sua breve
esistenza.
Federico
García Lorca fece anche molto teatro – andò in giro per i villaggi sperduti
della Spagna con la compagnia teatrale ambulante La Barraca – scrivendo
opere ispirate agli usi e costumi della sua Spagna fortemente legata alle
tradizioni punzonate dalla condizione di subalternità della donna, le tragedie
familiari dovute anche alla difesa dell’onore, le promesse da mantenere,
l’amore contrastato e la morte sempre in agguato, che poi negli ultimi tempi evolse
in una drammaturgia difficile da rappresentare perché assorbito dal mulinello
surrealista.
«[…]
La mia dimora è l’ambiente, l’anziano ulivo,/ l’oliva e la screpolata
corteccia, la radice/ magnifica e atroce e la foglia a forma di lancia:/
cercatemi là, non lontano dal limoneto nauseante/ dove sosto ad abbeverarmi del
nettare acido/ per tornare a vagare nei dintorni confusi/ e abitare smanioso
ogni luogo del campo. » (Dalla poesia Non lontano dal limoneto, pagg.49-51).
Nessun commento:
Posta un commento