Discorso
sullo stato dell’Unione del Presidente Trump scritto da un poeta amante del
discorso di Pericle agli Ateniesi (un ennesimo ghost-writer da licenziare).
Qui a Washington noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i pochi invece dei molti: e
per questo viene chiamato democrazia.
Qui a Washington noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia diseguale nelle
dispute private e si ignorano i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino è patentemente mediocre, allora esso
sarà, a preferenza d’altri, chiamato a servire lo Stato, come un atto d’insulso privilegio, come una ricompensa al demerito, e la
povertà costituisce un insormontabile impedimento all’accesso di qualsivoglia
carica pubblica.
Qui a Washington noi facciamo così.
La schiavitù di cui siamo vittime si estende anche alla vita
quotidiana; noi siamo sospettosi l’uno dell’altro e infastidiamo il prossimo al
quale piace vivere a modo suo.
Noi siamo schiavi, non liberi di vivere come ci piace e
siamo sempre pronti a fuggire da qualsiasi pericolo.
Un cittadino americano trascura il bene comune quando
attende alle proprie faccende ma soprattutto utilizza i pubblici affari per
risolvere le sue questioni private.
Qui a Washington noi facciamo così.
Ci è stato insegnato a non rispettare i magistrati, e ci è
stato insegnato anche a non rispettare le leggi e di non ricordare di
proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato insegnato a non rispettare quelle leggi non
scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di buon
senso.
Qui a Washington noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi lo consideriamo
innocuo e utile; e avendo sequestrato in pochi la vita politica, beh più
nessuno è in grado di giudicarla.
Noi consideriamo la dialettica un ostacolo sulla via della
democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto di una servitù
volontaria e che la libertà sia solo figlia dell’obbedienza.
Insomma, io proclamo gli Stati Uniti gendarme del mondo e
che ogni americano cresce sviluppando in sé un’unica dimensione, la sfiducia in
se stesso, la disponibilità al macello per combattere assurde guerre ed è per
questo che la nostra città si chiude all’altro e cacciamo gli stranieri.
Qui a Washington noi facciamo così.
Distanziamento poetico
La poesia è uno stato di eccezione da sempre, eccede lingua
dell’urgenza,
non distingue l’emergenza dalla quieta assenza, è in guerra
con la pace e in pace con la guerra.
Il poeta contemporaneo è un virale non infettivo, disperso
nella rete alla deriva, ignaro dell’effetto
inflattivo della parola, è al di sopra di ogni sospetto, non
poteva sapere prima, non poteva sapere dopo, non
poteva sapere durante, è banalmente colpevole d’una
possibilità in potenza.
La poesia è una delle forme della scienza, ma nessuno crede
che sia un modo della conoscenza,
è una tipica macchia, il Leicester che vince la Premier
League, l’eccezione che conferma la regola.
Il poeta contemporaneo è un fingitore smascherato dalla
mascherina, un saltimbanco che fa né ridere né
piangere, un incendiario dalla lingua abbrustolita, è al di
sotto di ogni rispetto, non poteva fare prima, non
poteva fare dopo, non poteva fare durante, è naturalmente
innocente di azione inconcludente.
La poesia è una delle tante malelingue, si traveste perché
non sopporta di essere una fake news, preferisce
il pettegolezzo, il si dice, il pare che, il farlo strano,
in questa cattività erotica che ci avvicina alla morte.
Il poeta poeta, invece, è un profeta inascoltato, un oracolo
non consultato, un politico senza mandato, porta
peste, è meglio stargli alla larga, perchè se ti infetta, tu
muori di noia e lui gode come un matto.
Donna,
donna
liberamente ispirato a “La coscienza infelice”
di Giuseppe Guglielmi per i cinquant’anni del gruppo ‘63
Olè qual magnific e progressive sorche
donna emancipazza e velinante
sculazza alienante
nell’imbuto del catalettico tubo
mentre ai machi depressi
nel tempo abbreviato della Tecnica
il dio noir falcidia speme
e il virtuale esalta sperma spreco.
Il padrone spia online fibrosi
e genera desideri di suicidio
cancri ineluttabili e fame fama
dicoccupati nervini cloni droni
bonzi di massa e focosi stronzi.
A Benzo e Adipo
bestemmia Hegel la coscienza infelice
carpe mortem sola reductio damnis
d’ esser nati
e pure con la farfallina
in una casa oscura ad allevar svacchelli
ove tutte le vacche son bigie
a rosolare nel focolare senza stufarsi mai
come logica del matrimonio capitale
mercimonio pardon del mattatoio.
La Repubblica delle Ammazzoni
che fan le fighe manager
e chiavano per orgasmo loro
che conciliano col nostro sudore
di padri cambia pannolini e poppatoi
sì sì scambiamo maschera e comandate voi
lasciateci poltrire tra cura e cura omnibus
ma non vi lamentate poi dei delitti d’onore
della caccia alle streghete
dell’eccidio d’ogni diversa.
E’ in frantumi pure la divisione del lavoro
un frame precario che ci slega
spaccottati in istanti di funzioni
spacchettati in decimi di finzioni
sparigliati in attimini e strafalcioni
ubriacanti come la povertà
lo sbarcare il lunario
astolfatati e pazzarielli a luna e friarielli
quel cupo impiegarsi nello stordimento
di quel tempo leggero di rincorsa
all’infelicità genetica
delle cose ordinarie che diveniamo
per zeligtudine al consumo del chupa
per improntitudine a l’imitatio dei
prosastiche prostati perdute
con i sensi
frustrati du plaisir
con le blandizie del sex libre a rate
con gli ornamenti di capezzoli e cappelle.
Fragilità il tuo nome è zoccola!
C’è sparito il corpo tra questi fantasmi di contagio,
si è anticipato morto di fronte all’ultimo disagio,
aveva fretta di svanire imprigionato nell’inazione,
via dallo sciame della scia violenta dell’azione.
Il corpo se n’è andato senza una direzione, in un assolo,
non negandosi più solo, senza peso, nel pensiero che
domina il pensiero, appeso al tetto come un caciocavallo
rappreso nel letto, un’ombra informe del concetto:
il dolore si spartisce solo se lo nominiamo ancora.
Ferdinando
Tricarico è nato a Napoli nel 1967 dove vive e lavora. Poeta e
performer, nel 1990 ha coordinato Tam Tam
poesia in movimento, laboratorio poetico del movimento studentesco della Pantera. Ha pubblicato i poemetti Clic 35 (Napoli 2003), Courage (Napoli, 2005), Precariat 24 acca (Oèdipus, 2010), La Famigliastra (Manni, 2013), Grand Tour, passeggiate italiane (Zona,
2019). Ha curato rassegne letterarie,
laboratori di poesia nelle scuole e nelle
carceri, le antologie Attraversamenti.
Percorsi di fotoscritture (Di Salvo editore, 2002), Alter ego. Poeti al MANN (Arte’m, 2012), Polesìa (Oèdipus, 2018) e Poeti
da Secondigliano (Fondazione Premio Napoli, 2018). Nel 2018 ha fondato il
gruppo Melopoetry.
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