In cerca, Alessandro Ramberti, Fara Editore, 2004-primavera 2022
Nella prefazione a questa pubblicazione, in forma assai curiosa di piccolo rotolo nel quale a mo’ di gioco la k sostituisce ch e la ñ prende il posto di gn, Alessandro Ramberti dice che la poesia è ricerca. Probabilmente la frase è anticipata dall’affermazione che recita: “La vita è il desiderio di identità dei nostri diversi frammenti ke si ricercano nel tempo”. Che sia così è probabilmente vero e in ragione di tale probabilità non si può certamente confutare né l’intenzione né la spinta propulsiva di questa raccolta. Cerchiamo allora di vedere in quale ricerca l’autore si cimenta, utilizzando uno strumento poetico che, per antonomasia, costituisce sia il mezzo che il soggetto dell’indagine.
Ovviamente, la forma del rotolo impone una progressione lineare, un procedere per memorie cronologiche, essendo praticamente impossibile fare collegamenti, andare avanti e indietro per riannodare parole, cenni, versi, muoversi a spirale nella lunga sequenza, perché ciò che ci viene presentato è probabilmente un cosmo monodimensionale, in cui la freccia del tempo è stata sostituita da un dire poetico che si muove come un treno sui binari. Magari è un treno che punta verso la West Coast e possiamo provare a raccogliere qua e là, a caso ma non troppo, qualche pepita d’oro.
La prima traccia, il luccichio di una pepita, è la virtù, una virtù indefinita che si ammanta di improbabilità. Forse, allora, dobbiamo già mettere da parte l’idea che saremo messi di fronte a oggetti nitidi e geometrici, perché l’autore inclina invece a qualcosa che si lascia appena intravedere, come tra i chiari di un bosco? Sembrerebbe di sì. Infatti, poco dopo dice di sperare nell’eco, cioè nel rimando di una voce (la propria? quella di un altro?) o di un suono più o meno casuale, con il quale in ogni caso non è possibile instaurare un dialogo. Si può solo ascoltare, ma ascoltare potrebbe di per sé essere una grande virtù.
C’è poi un’ansia che si aggira tra una vita avviluppata a un fine irrisolvibile o memorie che si attaccano a nuovi percorsi, “mentre fuori accadono altre cose / e scorre un altro / adesso”. La vertigine sembra prendere campo, perché in questa ricerca i punti di riferimento o spariscono o si smaterializzano dinanzi allo sguardo. Non per altro, le mura sono fatte di vento e i messaggi sono in attesa dentro le buste, pronti a essere inviati verso i quattro angoli della Terra come altrettante buone notizie. E anche le domande sono incartate in una cassa di vento in quanto, sembra di capire, ciò che è materiale e grezzo come una scoria rischia di indurire, se non il cuore, certamente il respiro.
Continuiamo a srotolare, un po’ sfiduciati di riuscire ad arrivare in fondo, perché non capiamo in che punto del rotolo ci troviamo. Sappiamo solamente di avere completato qualche tappa e che tante ancora ce ne rimangono. Del resto, siamo avvisati che i passi possono presentare delle incrostazioni calcaree che devono essere disciolte se volgiamo continuare il percorso. Per andare dove? Dove punterà questa ricerca poetica? Ecco che all’improvviso appare il deserto (chissà se di sabbia o distesa infinita d’anima) dove “là sarai senz’altro / il tuo universo”. Forse lo possiamo vedere come un luogo dove tutto può accadere, perché il poeta ci avvisa che “ci sono momenti / ke spostano date” o “un silenzio ke genera señali”.
Dobbiamo andare veloci, fare dei salti, in quanto qui e là la scrittura comincia a sparire, essendo stampata su carta per scontrini. È una poesia a tempo, che non ha paura di farsi trascendente e annidarsi in ricordi di ricordi di ricordi. Chi li ricorderà? Non importa, perché ci sono altre modalità che, a dispetto della paura di smarrirsi o di perdere gli allora del passato (umani cedimenti in chi per altro sa bene in quali acque si sta avventurando), fanno memoria: “i luoghi visitati mi hanno inciso / fino a fare di me topografia”. (Qui c’è stato un breve saltello avanti e indietro lungo il rotolo, una incongruenza per contribuire al tanto sale che si incontra in questi versi…)
Nei sette versi intitolati “La via” è necessario fare una sosta. Si potrebbe discutere a lungo su quanto segue: “Non mi soddisfa / un ordine caotico / né una fede autonoma / ke plaki l’entusiasmo”. Però, forse è sufficiente, per apprezzare l’intento dell’autore, evidenziare la delicatezza e la cautela con cui viene trattato un argomento di chiaro stampo teologico come questo. Lo sapevano bene anche poeti come Silesius quanto sia difficile scrivere in versi sulla fede senza diventare agiografici o melensi. Ma qui viene espressa con eleganza e decisione la lotta quotidiana tra merito e grazia, tra orgoglio e umiltà. Probabilmente. In un altro lampo leggiamo: “L’incerto ke libera gli eventi/ ci rende un po’ elusivi come dèi”. O ancora: “C’è solo una Presenza ke ci salva”. (Basta una P maiuscola per far capire tutto…)
Ancora più oltre, lungo il rotolo… Finalmente è possibile localizzare il viandante che con la poesia va alla ricerca della poesia, cioè della vita. Ed eccolo, nei versi che portano lo stesso titolo della raccolta, dubitare: “mi vedo / vagare nella steppa / – m’immergerò – accogliente – / nel tuo amore o via / scivolerò nel niente?” Chi l’avrebbe immaginato, verrebbe da dire. Una ricerca che alla fine sembra portare sì, non al punto di partenza, al quale non si può più tornare, a causa della monodimensionalità di questa avventura… Ma dove? È chiaro che ci siamo mossi, che l’autore da qualche parte ci ha trascinati, pur senza abbandonarci. Però, la ricerca sembrerebbe a questo punto più che altro un totale fallimento: che cosa abbiamo davvero trovato? Niente?
Non è così, fortunatamente. La poesia inizia proprio là dove sembra dissolversi. E i segni alla fine rimangono, anche se si ha la sensazione di non avere raccolto nulla lungo il percorso o di avere racimolato unicamente incertezze. In realtà, ci si può guardare allo specchio e constatare in un guizzo finale, in uno slancio lirico che… “Magari le rughe del volto / esternano i solki della corteccia / cerebrale e forse un po’ rivelano / il viaggio dei nostri sentimenti”.
Non rimane che riavvolgere il rotolo, conservarlo al buio affinché non svaniscano altre parole e… continuare la ricerca!
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