lunedì 11 aprile 2022

Il giusto equilibrio fra sentimento e riflessione per vincere il tempo “come le lucciole / (…) / vincono il buio”

Gabriele Oselini, Equilibrio

Fara Editore, 2022, pp . 72 

Prefazione di Fabrizio Azzali


recensione di Giancarlo Baroni (autore anche della splendida foto in copertina)



La raccolta poetica di Gabriele Oselini, da poco pubblicata dall’editore Fara, si intitola Equilibrio; è il sesto libro del poeta viadanese, tutti stampati dallo stesso editore. 

Leggendo le oltre cinquanta poesie che compongono il volume ci colpisce immediatamente un aspetto che non può passare inosservato. Mi riferisco ai colori che ravvivano le pagine donando loro vivacità e vitalità, trasformandole a tratti in una variopinta tavolozza, in “un cromatico / cicalare di vita”. Scorrendo le note biografiche dell’autore notiamo che è nato nel 1953 e che dunque si avvicina ai Settanta; il tempo che inesorabile passa di solito sbiadisce le tinte della vita e delle cose, le rende opache e smorte, di uno spento grigio uniforme, qui invece i colori brillano, risplendono, come se gli occhi del poeta avessero conservato, parzialmente intatte, la naturalezza e la freschezza di un ragazzo.

Cito a questo proposito alcuni significativi versi: «candido crepuscolo», «rosso tramonto / sulla spianata / d’argento», «frumento giallo oro», «rosso vermiglio», «nell’aria [di settembre] gialla e azzurra», «argentei bagliori», «l’azzurro vedo trasformarsi / in oro puro / l’oro in blu», «un cielo verde oliva», «gialli peperoni / bianchi finocchi», «cielo a tratti nero sambuco / bagliori improvvisi / color mandarino», «nubi violacee [dell’autunno] / nel giallo e rosso / di sciami di foglie», «bianche farfalle / si inseguono giocose / in selvatica armonia».

La fonte principale di ispirazione, benevola maestra di vita e di pensiero, è la Natura vegetale e animale della quale Oselini avverte la vicinanza («sotto un tronco / di nuovo vestito / respira un fiore / vicino al mio respiro») e di cui   si sente parte al punto da immedesimarsi; per incantesimo sogna di trasformarsi in Dafne, la ninfa che si muta in vegetale: «baciavo alberi / e foglie verdi / pigmenti naturali / di giovani impulsi // poi felice divenni / arbusto di alloro». In una poesia confessa il proprio desiderio di immedesimazione e di empatia con il mondo animale a partire da quello più quotidiano, affettuoso e prossimo: «vorrei essere / come il mio gatto / al sole / sul balcone / immobile / intatto / osservare a occhi chiusi / il volo delle tortore / immaginare / lunghi balzi felini / vivere in un mondo / senza confini / e poi stirarmi / e poi dormire / su una morbida coperta / verde a pallini».

In apertura di Equilibrio vengono citati queste intense parole di Lorenza Amadasi: «Il segreto era lì, racchiuso in mille altri segreti, il vento, il fiore, la terra, il canto, il volo degli eccelli». Gabriele si sente in piena sintonia con questa frase che si affaccia sulla bellezza e sul mistero delle cose, della vita, della natura e del mondo. 

I versi di Oselini risuonano degli «squittii di gioia delle rondini», «della pioggia improvvisa / rumorosa / impertinente / sopra i tetti / gli alberi / il viso», «dell’armonia sonora / di erbe e alberi»; le pagine profumano di tigli, di «rose selvatiche / narcisi appena nati / glicini viola»; hanno i sapori elementari di una «pera affusolata / regina d’autunno / giallo maculata» e di una «mela rotonda / perfetta verde». La natura coinvolge tutti i nostri sensi ed è capace di animarsi festosamente danzando e cantando: «una chioma d’albero / improvvisa una danza / di pruni selvatici / ritmata dal canto dei passeri».

Intanto il tempo scorre inarrestabile e lascia in eredità traumi e ferite, paure e dolori, pianti e addii, ma Oselini, anche quando si sente «pesante materia» e intorno prevale una densa foschia, non si lascia sopraffare dalla cupezza, dal male di vivere, dall’angoscia, dal buio. Certo, l’amarezza e la stanchezza affiorano ripetutamente sia nel presente che nei ricordi riguardanti persone scomparse, amici che non ci sono più, come Giorgio Pezzoni detto Pessòn «viandante dei boschi», o Gina «dal perenne sorriso»… 

L’acuta e profonda Prefazione di Fabrizio Azzali, intitolata «È nostro solo ciò che abbiamo perduto», è per buona parte dedicata ai temi del ricordo, della nostalgia, della memoria («finalmente libero / in pace con la memoria») e dell’infanzia («magia dell’infanzia / maifinita»), intensamente presenti nel libro. Scrive Azzali: «questa proustiana risalita della corrente verso il diluvio del passato divenuto raggiungibile solo mediante una ricomposizione e interpretazione postuma, non serve in Oselini a constatare tristemente che il solco scavato dagli anni tra la felicità del tempo lontano e un presente smarrito è divenuto una voragine incolmabile e senza riscatto… Semmai ribadisce la convinzione che lungi dal divenire spettro tormentoso o sterile rimpianto ciò che è avvenuto spiega e restituisce significato al presente».

In queste poesie dove sentimento e riflessione trovano il giusto equilibrio, dove la penna della gioia viene intinta nell’inchiostro dell’amarezza, «in cui tutto il superfluo» scrive Azzali «è stato eliminato sino a un isolamento e una esaltazione della parola singola», rivivono e resistono ricordi, immagini, sensazioni e sogni ad occhi aperti che illuminano il presente di nuova e provvidenziale luce:

 

vorrei vincere il tempo

come le lucciole

nelle notti estive

vincono il buio  

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