Eleonora Rimolo
*
La tua
mano è un cardo pungente senza fiori,
le
spore aprono sentieri franati, il soffio dell’ape
in un
fremito distante non schiude la foglia,
non
spalanca le porte: non piove e non smette
di
tornare il giorno nei legnosi grani delle tue dita
esplosi
dal filo che ne faceva gioiello. Tenere
insieme
le perle, stare intorno alla tavola tesi
con
rocchetti e fermagli: stanotte guidiamo
il tuo
nodo fino all’ultima pietra, restiamo
paralizzati
nello stupore offeso di un corpo
che
ormai vive per niente, di un cuore basalto
che da
solo veglia e raffredda il grande oceano.
Lo sai
che stai donando? Lo sai?
In questa accesa e visionaria poesia di Eleonora Rimolo (Salerno, 1991) è vivo il senso di un'attesa stupìta che, còlta nel punto più alto del suo sguardo vertiginoso, nulla sa, nulla più vuole, nulla più intende. È lo stupore frontale di un inabissamento che, messo l'io fuori scena, si trasmuta in uno specchio aperto, indefinito, immenso: e poi si cala, a poco a poco, in un luogo onirico e ideale, ma anche, realisticamente, doloroso e piagante; e aspro e inospitale. È il segnale, questo, di un tagliente miracolo che, bruciando in un istante la linea del tempo, restituisce alla voce, alla memoria, la forza di ricucire il proprio legame con un'origine oscuramente perduta o cancellata (o intravista, per colpi e strappi, come un'ansiosa fantasima che punge e chiama di lontano). Il corpo è immerso, allora, in un lungo "stupore offeso" che nella dolce violenza della sua veglia sa, tuttavia, respirare ancora con amore e con coraggio, restituendo vita alla vita e diventando, per gioco e per incanto, risanamento vero e dono inaspettato.