Una poesia spontanea nei luoghi e nei ritmi, attraversata da un sentire impulsivo che si connota come viaggio, intreccio di silenzi e di ignoto, di armonie , di ricordi, di improvvisi fremiti, e che promana dalla realtà carica d'emozioni.
E’ questa l’impressione che si ricava accostandosi alla raccolta bilingue, italiano -inglese, “Sfinge di pietra”, della poetessa pugliese Claudia Piccinno, opera che già nell’interessante e simbolico titolo, incastonato nel bellissimo dipinto di copertina dell'artista Immacolata Zabatti, contiene una dichiarazione di poetica, tanto lineare quanto complessa, e che fa pensare alla sequenza mitica Sfinge, Edipo e Antigone, a “La Esfinge”, di Miguel de Unamuno, al Poema del grande scrittore inglese O. Wilde ove il poeta vede con la mente una Sfinge antichissima, “languida e misteriosa, sinuosa e morbida come una lince”
Il corpus poetico della silloge mostra, rispetto alle precedenti, un ulteriore processo evolutivo sul piano del linguaggio e delle scelte formali, e si compone di due linee di movimento: la prima di 14 poesie; la seconda, che si snoda in forma poematica, con un titolo molto significativo: “Sono vetro”.
La Piccinno mette in campo con i suoi versi, come su un palco teatrale, l’incognita di una natura profanata, i conflitti della “coscienza del bene e del male” e della “vanitas vanitatum”. La Sfinge diventa centro di oggettivazioni interiori, bersaglio di disillusioni, traguardo di conversazioni disposte a ricercare la verità e il senso delle cose:
“Cerco il senso
di questo vuoto di parole
in una dimensione
che non mi appartiene”.
La poetessa sceglie la sfinge per simboleggiare la realtà misteriosa, impenetrabile, disegnata nelle facce di uomini e donne di questo tempo globalizzato; emblematiche sono le poesie “Amica mia”, “Sull’adulazione”, “In punta di tastiera”, ove i versi sono tagliati con sentimento ferito e richiamano le tante “sfingi contemporanee”, ossia quelle persone indecifrabili, impenetrabili, enigmatiche, che nascondono i propri sentimenti e la propria cultura dietro un comportamento oscuro, arcano, imitando sia l'essenza enigmatica della sfinge greca, sia l’immagine fredda, distaccata, indifferente, solenne, trionfale e maestosa di quelle egizie. Questo spiega perché la poetessa dichiara di rifiutare “la tonalità delle grinze /del vestito che dovrebbe(dovrei) indossare”; di nutrire il sospetto verso chi “vuole mortificare l’intelletto” e di essere consapevole che “a svelarsi ci si rimette sempre”.
La seconda parte del volume “Sono vetro”, costruita in forma poematica, dice della personalità a largo spettro e di grande impegno etico e civile di Claudia Piccinno; la poetessa cala i grandi temi dell’esistenza nel contesto socio-culturale della contemporaneità, consegnando al lettore un quadro dal quale traspare l’arrivismo sconsiderato, la dualità tra l’essere e l’apparire, la volontà prevaricatrice, la finzione, la disonestà, l’egoismo, la mancanza di rispetto e di amore verso l’altro; emblematici,a riguardo, sono questi versi schietti e pungenti:
“Ti fai pietra /quando hai paura. Ti fai di marmo /per non sbilanciarti, Ti fai di legno /per non esporti. Ti fai di nebbia /quando hai vergogna, Ti fai di vetro /se lui ti guarda. Ti fai di gesso /se lui ti lusinga. Ti fai di cenere /se lui ti inganna. Ti fai di bile /se lui ti dimentica”. (XXXII)
Non posso che compiacermi con Claudia Piccinno del suo coraggio senza frontiere; se Piero Bigongiari diceva che “noi siamo la stazione in cui la parola pensante ondeggia un po' prima di proseguire la sua corsa”, a ben pensarci i versi della Piccinno a me sembrano quella stazione ove fluttua da vari percorsi quella parola reclamata al pensiero come segno di cammino; ove staziona ciò che l'esperienza le offre: il pianto o il sorriso dei giorni, l’entusiasmo della meditazione, l’affanno della ricerca, l’indignazione o l’esaltazione; e così i suoi versi diventano “pagina scritta” fra azione e abitudini, fra reazioni e obbedienza, riflessioni e meditazioni, certezze e incertezze, fra il distacco di facce sfingee e i suoi sguardi di “cuore pellegrino”, fra l’opacità di relazioni e il suo percepirsi come “casa di vetro” in cui potersi specchiare come nella trasparenza dell’acqua.
Alcuni stilemi, in particolare, sono speculari alla forte indignazione e lacerazione dell’anima e imprimono nel lettore, con forte incisività, immagini difficilmente dimenticabili:
“ogni sasso un pensiero” – “Siamo radunati dietro le quinte” – “maschera di dolore sorridente” – “Selvaggia la mia mente /si sveglia e si nasconde /dietro ipocrite convenzioni “ – “interloquire con i silenzio di un tormento” – “istauro un dialogo per sognatori” – “L’intuito reclama obbedienza” – “Paroloni sorridenti/ col tuo modus vivendi “ – “Non sarò solo un ingranaggio” – “Annaspo tra i perché dei miei bambini –
Dunque, in questo libro, energia concettuale e “vis emozionale” si intrecciano dentro un poetare che si affida al verso ora breve, ora lungo, ora prosodico, costruendo una epistemologia esistenziale dal basso che utilizza anafore e moderne Verbidungen sinestetiche e metaforiche senza cedere né a tentazioni discorsive né a emorragie retoriche.
La “Sfinge di pietra” di Claudia Piccinno ci lascia la rivelazione di un sofferto e forte modo di sentire, di profondo guardarsi dentro, di un giudicarsi senza paura con una visione realistica della vita, di un confrontarsi, cioè, con un senso concreto e profondo delle cose umane.
Domenico Pisana con l'autrice Claudia Piccinno
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