Francesco Randazzo, Stanze (del paradosso di Schrödinger), plaquette stampata in 100 copie non commerciali nel Novembre 2020
recensione di AR
I “sensi” del corpo, dell’anima e della mente vengono offerti con incisiva onestà in queste Stanze inviate a chi si impegna a mandare all’autore, dopo la lettura, “una lettera, un commento, un breve scritto poetico o narrativo, un cadeau simbolico (…) al fine di condividere uno scambio, una relazione, un pensiero, un’emozione (…). Un’azione poetica che infranga (…) l’isolamento e l’alienazione che la pandemia del Covid19 ci ha imposto.”
Una idea bella e coinvolgente che in questi mesi di messa in angolo del nostro essere e del nostro fare, getta ponti più unenti e “radicali” di quelli possibili in rete. L’umanità, i desideri, i sussulti sensuali ed emotivi, le angosce e le aspettative che troviamo nella plaquette rispecchiano quelle di tutti, in particolare sollecitano il mondo della cultura, gli intellettuali, i politici e tutti coloro che dovrebbero avere una visione: “Nessuno pensi che tutti gli altri non lo riguardino” (p. 31); “Del pensiero debole rimane l’idiozia” (p. 21); “Diviene certezza il timore di un inferno / le cui porte ci ostiniamo a splancare” (p. 17).
Insomma, le Stanze di Francesco Randazzo ci provocano, ci scavano nel profondo: sono una benna oscillante fra una disillusione maligna e una provata (ovvero messa a dura prova) fiducia in una riserva di umanità che ciascuno ha e dovrebbe valorizzare per il bene proprio e per quello comune (che sono di fatto inscindibili, come ci ricorda il papa omonimo del Nostro). Ascoltiamo il poeta siciliano (p. 6): “In questo assedio del maligno / che noi stessi esaliamo, impuri, / (…) / Ogni battito bussa alla porta, / come sulla soglia della morte. / Ogni respiro è rubato, furtivo, / quasi colpevole di sopravvivenza.”
Dicevo che l’autore esprime le sue (nostre) emozioni, paure, aspirazioni, debolezze con grande onestà: “Non sono pronto ad affrontare il dopo, / quel che sarà nel deserto della prossima / disumanità. Io chiedo a lui [Dio] soltanto: / Perché? / Potrebbero volerci secoli perché arrivi il messaggio. / Potrebbero volerci millenni perché giunga una risposta. / Sarò paziente, saprò aspettare. Canterò senza parole.” (p. 11); “Tutto mi lacero, ogni giorno, ogni notte, / in queste stanze in cui m’aggiro insano, / spettro delle mie paure, boia di me stesso.” (p. 13); “il mondo dichiara a voce alta, squillante, / che dell’umanità e di me, può fare a meno.” (p. 15).
Eppure constatiamo che il senso di impermamenenza, di inutilità e di vuoto è controbilanciato da un prendere linfa dai grandi del passato, dagli incontri significativi con maestri e guide, dall’amore vivificante per/della compagna di vita, dagli affetti più intimi e veri: “Dentro il frigo ho trovato un cuore, / (…) / Lei lo cura e custodisce, così nel freddo, / si manterrà sano e quando tornerà / dentro di me, quando tornerò in me, / lei sa, non si sarà corrotto…” (p. 26); “Certi giorni, cammino all’indietro, figlio mio, / (…) / in apparenza m’allontano, mentre mi guardi / un po’ risentito, mi guardi / e non dici nulla, perché sai, anch’io lo so, / che ti sto mostrando il quadro della vita, / l’affresco da mirare a una certa distanza” (p. 27).
Percorrere consapevolmente il labirinto della proprio esistenza, anche quegli angoli apparentemente inutili o sporchi e indicibili è quanto ci suggeriscono questi versi disincantati eppure sempre in cerca, capaci di risuonare empaticamente in noi invitandoci, pascalianamente, a rischiare sull’Oltre: “Mando un messaggio a Dio e lo ringrazio. / Sembra stupido e vano: ma cos’altro resta, / quando tutto diventa così disperatamente / inutile, cos’altro, / se non la folgorante idea di Dio?” (p. 12).
Grazie per queste poesie-dono.
PS Il titolo di questa recensione è un verso della poesia a p. 18 chi inizia così: Questa stanza piena di libri e fumo.
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