Mario Fresa, perché è così importante "vestire di nuovo" i poeti latini? Come nasce l'esigenza di tradurre Catullo?
“Non so se sia importante “vestire di nuovo” gli autori latini. Io, da traduttore, mi sono concentrato (divertendomi molto) su due amatissimi poeti: Catullo e Marziale. La loro poesia violentemente mondana, priva di retorica o di respiro “epico”, e perciò del tutto disabitata dalla presenza del Mito e del sacro, ha permesso in modo abbastanza agevole il gioco del travestimento parodistico, l’uso buffo e straniante delle assonanze, l’applicazione dei calembours, dei doppi sensi, delle numerose citazioni “sotterranee”, riferibili a varie fonti culturali (dal libretto d’opera al dialetto, dai ricalchi comici di matrice dannunziana al linguaggio “basso”, popolare e malavitoso del secolo diciannovesimo…).
Ma la vera “esigenza” di tradurre Catullo non è stata quella di “rivestirlo” giocosamente, come farebbe un musicista che sia capace di aggiungere ornamentazioni o abbellimenti a un tema originale. No: la principale necessità era quella di studiarlo da vicino, di analizzarlo in modo approfondito. Un poeta va letto e studiato nella sua lingua; e il miglior modo per conoscerlo a fondo è quello di tradurlo (secondo un principio archeologico o filologico o in maniera più libera e ri-creativa: ciò dipende, naturalmente, dallo scopo finale che si intende assegnare al lavoro traslatorio)”.
In un mondo dove sembra prevalere la volontà tirannica di eliminare tutto ciò che ci induce ad un pensiero complesso, quale può essere secondo lei l'approccio più innovativo per studiare i classici della letteratura latina?
“Sarebbe un’ottima cosa NON affidare lezioni sui classici latini ai professori, ma a un poeta, semmai esperto di traduzioni classiche. I docenti sono quasi sempre degli anti-artisti, degli anti-poeti, degli anti-filosofi. Sicché appaiono lontanissimi le mille miglia dal comprendere anche l’ombra di un verso di Lucrezio o di un semplice passo di un Dialogo senecano. Ma è pur vero, d’altra parte, che la quasi totalità degli studenti non merita né la lettura, né l’analisi dei versi di Virgilio o di Ovidio. E poi, guardi, non credo del tutto nell’apprendimento di gruppo. Meglio studiare e approfondire privatamente, da soli. Di certo non si può leggere o analizzare in modo serio un verso virgiliano in mezzo a una ventina di asini sbadiglianti. Né si può, tantomeno, sperare nell’aiuto, di solito disastroso, di maestrucoli che cianciano di POF, di PON, di PIA e di PAI e che non sanno distinguere una metonimia da una sineddoche. Ovidio o Seneca o Lucrezio devono essere destinati a occhi (e a orecchi) che ne siano ben degni”.
Nel delicato passaggio da una lingua antica a quella moderna, quali sono le principali difficoltà che lei ricorda di che aver trovato?
“Ho ripetuto più volte che, nel tradurre un autore antico, è del tutto impossibile ‘ricalcare' o far rivivere una lingua remota (con tutto il suo enorme carico di allusioni simboliche). Il passato è passato e non può ritornare. Perciò, tutto è difficile nel tradurre, e anche soltanto nell’analizzare, un poeta latino antico. Bisognerebbe, in ogni caso, saperlo leggere ad alta voce, metricamente (e non secondo la cattiva pronunzia che abbiamo ereditato dal latino ecclesiastico), in modo da poter intendere, almeno in parte, la potente carica musicale e teatrale dei suoi versi. Chi non sa che cosa siano la musica o il dramma non potrà mai comprendere un poeta antico”.
Quali sono stati i suoi punti di riferimento nell’arte della traduzione letteraria?
“Se si riferisce al campo specifico della traduzione dai grandi autori latini, posso citare senza dubbio la straordinaria lezione che ci ha lasciato Pasolini quando vòlse in italiano, in modo entusiasmante, il Miles Gloriosus”.
"Odi et amo...". Secondo lei, qual è il Catullo odiato o amato dai giovani liceali?
“I giovani liceali non lo amano né lo odiano, perché non sono capaci di capirlo, se non in casi rari. E poi lasciamoli alla loro movida, alle partite di calcio, ai rutti e ai versicoli dei rapper e dei trapper. Non se la meritano, la finissima intelligenza di Catullo. D’altronde, la scuola dell’obbligo può al massimo sfornare un ragioniere, mica un artista!”
Una selezione delle traduzioni catulliane di Mario Fresa si può leggere qui: