venerdì 12 luglio 2019

“Se potessi, mi porterei il mare”

Ottavio Rossani, Soverato (Autoantologia con poesie inedite 1976-2018)I Quaderni del Bardo Edizioni 2019)

nota di lettura di Subhaga Gaetano Failla




I giorni dolci della kermesse estiva di Fara Editore a Fonte Avellana mi hanno regalato quest’anno anche una nuova tenerezza: l’ultima raccolta poetica di Ottavio Rossani, fresca di stampa, intitolata Soverato (I Quaderni del Bardo Edizioni).
Il libro ha per sottotitolo la seguente dicitura: (Autoantologia con poesie inedite 1976-2018). In copertina appare un dipinto del 1995 dell’autore stesso, dal titolo Mare Jonio dalla collina di Soverato. Nella scena dal sapore favolistico, un acrilico su tela, sono inseriti anche alcuni versi, tra i quali questi: Stasera / il mare riluceva / in una tela filata / dalla luna.
E sembra il compendio d’una esistenza favolosa questa raccolta poetica che si snoda attraverso quarantadue anni, versi intessuti di malinconie tra lontananze e ciclici ritorni, di slanci lirici e contemplazioni da cosmopolita. Nella conclusiva Notizia sull’autore ben si comprende l’intensa esperienza artistica, professionale e umana di OttavioRossani: “Poeta, scrittore, pittore e regista teatrale. Come giornalista – 40 anni al Corriere della Sera – ha viaggiato in diversi continenti; ha incontrato potenti e umili negli ambiti della cultura, della politica, della cronaca. Ha scritto saggi storico/letterari e racconti.”
Il libro Soverato è diviso in quattro sezioni: Precognizioni, poesie da Riti di seduzione (2013), Linee prospettiche (poesie inedite), Visioni soveratane (poesie inedite).
Cos’è Soverato? Per la mondanità, è una seducente cittadina costiera dello Jonio calabrese meridionale, impregnata di antichi umori della Magna Grecia, di decadenze, dinamismi, inquietudini e malattie della contemporaneità. Ho avuto la fortuna di visitare più volte Soverato, e di sentirla forse ancor più intimamente d’un semplice turista perché, come Rossani, anch’io sono nato in Calabria, dove ho vissuto fino alla prima età giovanile, per poi partire, intervallando l’assenza con brevi ripetuti ritorni.
Ma Soverato di Rossani è luogo universalizzante d’accoglienza originaria, al contempo frammento delimitato e vastità sconfinata, è il carcere (ricordando l’immagine di Pavese che in quella stessa costa fu esiliato) d’un orizzonte marino che spinge ad andare oltre, limite e sogno dell’altrove e della fuga. Scrive Rossani: Questa città mi ha accolto appena nato, / mi ha coltivato per anni nelle sorprese, / ho scoperto qui ogni giorno ipotesi / di conoscenze e allettanti libertà lontane.
Come più spesso accade in ogni Sud del mondo, l’uomo che lascia quei luoghi – per scelta, per necessità – porta con sé una lacerazione, un trascorrere e un restare anche quando si è partiti. E in Soverato si rinnova la ferita, tra la nostalgia, nel dolore d’un ritorno auspicato, e l’anelito al viaggio, nella speranza di allontanarsi dalla zolla di terra natia. Ho lasciato questa plaga tanto amata, scrive Rossani nella poesia “Lasciando Soverato”, ancora deluso da sciatterie e invidie / legate a un carattere atavico / di lassismo mentale e sentimentale, / di barbara ingordigia e indifferenza. (…) Amo i tramonti furenti del Sud / e soprattutto i sanguigni estivi / ammantati di salsedine a Soverato.
Nella poesia intitolata “Damasco” Ottavio Rossani, un autore che ha in sé il carattere planetario degli antichi filosofi greci e al contempo l’impronta del viaggio a ritroso d’un Odisseo, sembra trovare una risposta all’enigma del partire-restare-tornare: Tra grido e sorriso non c’è dissonanza. / E si sfrangia sottile la tela del desiderio. / Possiamo progettare anche un’altra partenza / purché ci sia un ritorno. Un febbrile ritorno.
Ci sono profumi inebrianti, in Soverato, luminosità abbaglianti e oscurità, il deliquio della lentezza e dei torpidi pomeriggi mediterranei, l’estate che sfolgora bruciante, l’osservazione contemplativa d’un uomo seduto a un tavolino di bar. Ma ovunque in Soverato è presente il mare, il suo alito, la sua voce furiosa o sommessa, il suo brusio, la potenza rigeneratrice d’un vastissimo amnio: La sua acqua entra ed esce dai cunicoli terrestri / quasi volesse fecondare le profondità generanti. / Aspetto sempre la rivelazione del mare/madre. L’intimità di quelle acque fa inoltre scrivere a Rossani, in un’altra poesia, in uno dei suoi innumerevoli ritorni-partenze: Se potessi, mi porterei il mare.
Nelle due sezioni finali, composte di inediti, il ritmo e le scansioni paiono placarsi in una sorta di limpida e quieta prosa poetica. Sembrano racconti meravigliosi narrati da colui che torna, il consuntivo d’una vita vissuta tra il confine e l’oltre, in un dormiveglia assolato pullulante di visioni. E nella Seconda visione della poesia “Le nuove rotte” l’eterno viandante Rossani così scrive: Le dimensioni ora si sono ridotte, / le distanze sono state accorciate dalle invenzioni. / Il viaggio avventuroso tuttavia esiste ancora.

Concludo queste mie vacillanti note di lettura con i versi finali della poesia “Il galoppo di un cavallo”, inserita nella prima sezione del libro intitolata Precognizioni. È la poesia che più mi ha colpito. Rappresenta per me la sintesi dello sguardo visionario di Ottavio Rossani, un “osservatore speciale” che “sente una musica interiore che nessuno intuisce”:

All’improvviso calerà il crepuscolo.
Sentiremo il freddo umido della sera
invasa dal respiro ansioso dei gelsomini,
in giardino storditi da migliaia di stelle.
A uno a uno se ne andranno via
e noi due soli a leggere poesie,
come in una lontana notte sul balcone
nel fruscio rinfrescante degli ulivi.
Eri allora la mia luna.
Ci sarai ancora mia fortuna?



Nessun commento: