giovedì 11 ottobre 2018

Stelvio Di Spigno su "Svenimenti a distanza"




Mario Fresa


Ci piace parlare oggi dell’ultimo libro di un notevole poeta di Salerno, Mario Fresa, che per i tipi del Melangolo ha licenziato un libro degno di essere letto e riletto, un testo complesso ma avvolgente dal titolo Svenimenti a distanza. Sul titolo, e anche sul libro in generale, si legge (ed ho letto) in rete un po’ di tutto. È quindi gradita l’occasione per fare chiarezza, cercando di capire il senso profondo, diciamo anche il significato, di questa operazione poetica. Fresa è un poeta estremamente capace. È uno dei pochi della sua generazione (quella dei nati negli anni ’70) che opera sullo stile e padroneggia il verso lungo, breve, il prosimetro, l’andamento strofico, la pronuncia lirica e l’invenzione onirica, parodiante, ironica, persino quella sacra con le sue salmodie più o meno laiche. La sua intonazione è sempre calibrata, sigillata, lavorata, pensata a lungo dato che prima della musa poetica Fesa è un critico e un filologo sopraffino, un cantante lirico e un ragguardevole conoscitore di musica, che quando scrive non lascia nulla al caso, nulla al non detto, anche quando vuol sembrare che faccia il contrario, è sempre lui a tenere i fili del discorso. Questo vale in particolare per questo libro, nel quale l’ordito di vite anonime, senza origine, senza una particolare cornice didascalica, si intreccia con l’occhio vigile dell’io poetico in un corto circuito fatto di vertiginosi enjambement, catene di lemmi lunghissime che vanno come a morire in un tramonto estatico e ancestrale nel quale lo spirito eracliteo di Fresa trova il suo compimento più appuntito e immanente. La polpa di questo libro, infatti, è un ordito densissimo di personaggi senza identità, che disegnano nella lingua 
poetica più fitta che si possa immaginare la trama del mondo, il suo caos convulso di relazioni e interrelazioni...


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