Salvatore Ritrovato, La casa dei venti, Il Vicolo 2018, collana Arcana Mundi, pp. 46
recensione di AR
Queste liriche scritte in tempi e situazioni di cui l'Autore sa cogliere l'estrema ferita, quella breccia ombro-luminosa che solo la poesia, la musica, l'arte che tranciano con discrezione amorevele il vissuto (come certo cinema rohmeriano) possono in qualche modo “fissare”, rendendola emozione insinuante e carica di saudade; questi versi che rendono bene la fatica del sangue nell'irrorare le vene, l'ironia di una mente che a volte mente a sé stessa per lasciare spazio alle pascaliane ragioni del cuore; questi canti che risuonano della nostalgia di una felicità affidata al ricordo e quindi inevitabilmente rivista col senno di poi (e forse umanamente irraggiungibile); questi microracconti che portano a galla desideri e passioni, riflessioni e osservazioni che scandagliano i miti, i personaggi (reali o letterari), gli affetti che mettono in relazione conscio e inconscio… in sintesi, questa Casa dei venti ci apre le sue finestre, ci accoglie e si lascia accogliere negli scomparti più empatici dell'anima di ogni lettore.
L'opera si apre con questa splendida e sofferta dichiarazione (il corsivo ne accentua l'intento di chiave per accedere alla ratio dell'elegante plaquette): “Io è il sentimento mortale di queste pagine. / (…) / Tante braccia protese a saluto. // Si slancia in loro, si consegna all'angelo / caduto senza pietà nel mondo / (…) / Io lascia dietro di sé una voragine. // (…) // Un giorno arriva il vento e cala il sole, / di tanta fatica qualcuno ricorderà l'amore.” (p. 7).
Segue la sezione “Bagatelle di viaggio” in cui troviamo queste vibranti considerazioni: “un giorno andranno tutti via / e servirà ancora la poesia / dove nessuno lo raggiunge?” (III); “arrivare alle cose fra timori / e dubbi, e quando muori / leggere al buio l'ultima pagina.” (IV); “silenzioso pesa il nulla” (VI).
Abbiamo poi la sezione “Vuoto a perdere, e altro da me” che pare interrogarsi con ancora maggiore inquietudine sulla pessoana finzione del poeta (il titolo di questa recensione è tratto da Su un sonetto di Jean Desponde, p. 19, contenuto in questa sezione): “ancora nera sono i miei capelli ma tristi. / (…) / … «Tutto diedi a lei, chiuso in un bacio / partendo, tutto in un abbraccio. / Durò un minuto, e fui felice».” (Per una rosa, p. 17); “cala il secchio sporco di vita e tira / su quella parte di me più pulita / laggiù sommersa, / spalanca lo specchio: / quello che leggi, rovescialo.” (A una carrucola, p. 21); “Volerà lontana la parte che non pesa / dove l'aria è impenetrabile e la luce / eterna si sfarina tra le mani come gesso.” (In articulo, p. 23); “Grande è la colpa di chi è nato. / In ogni stanza il silenzio stringe le ombre / a scomparse stagioni, ad antenati senza nome.” (Lasciando Grodek, p. 25). Significativa la citazione di Alfred de Vigny preposta a La variabile umana (p. 26): À voir ce que l'on fut sur terre et ce qu'on laisse, / Seul le silence est grand; tout le reste est faiblesse.
La terza sezione si intitola “Quello che non puoi togliere” e trova nell'amare, nell'amicizia, nelle relazioni che rispettanno e valorizzano la sola traccia indelebile di ogni cammino (incluso quello dei poeti): “«Mi hai letto nel cuore, lontano amico. / Fra noi soffia sempre lo stesso vento».” (a Dario, p. 31); “Mi domando se un ricordo che da sempre ci aspetta / un giorno all'improvviso invecchia” (L'aura di Guayaquil, p. 34); “Ma io sono qui e la terra trema ogni giorno: / è la linea inferma del mondo.” (L'ultima epistola, p. 35).
Chiude il libro una poesia in corsivo come quella che lo ha aperto e che ci parla del grande poeta cieco (Omero significa “Il-non-vedente”) e tramite lui della visionarietà sonora della poesia che viene non di rado rifiutata, o accecata, o ridotta a spazi di ombra e in definitiva sempre in bilico tra l'essere negletta e l'essere capace di ricreare/trasformamare la realtà: “Il tempo è come il mare, mi ha detto, / quando passa sulla sabbia: / all'inizio è solo una macchia, poi ha fretta.”
La qualità di questa immagine è un sigillo perfetto che certifica l'intensità preziosa della poesia di Ritrovato.
recensione di AR
Queste liriche scritte in tempi e situazioni di cui l'Autore sa cogliere l'estrema ferita, quella breccia ombro-luminosa che solo la poesia, la musica, l'arte che tranciano con discrezione amorevele il vissuto (come certo cinema rohmeriano) possono in qualche modo “fissare”, rendendola emozione insinuante e carica di saudade; questi versi che rendono bene la fatica del sangue nell'irrorare le vene, l'ironia di una mente che a volte mente a sé stessa per lasciare spazio alle pascaliane ragioni del cuore; questi canti che risuonano della nostalgia di una felicità affidata al ricordo e quindi inevitabilmente rivista col senno di poi (e forse umanamente irraggiungibile); questi microracconti che portano a galla desideri e passioni, riflessioni e osservazioni che scandagliano i miti, i personaggi (reali o letterari), gli affetti che mettono in relazione conscio e inconscio… in sintesi, questa Casa dei venti ci apre le sue finestre, ci accoglie e si lascia accogliere negli scomparti più empatici dell'anima di ogni lettore.
L'opera si apre con questa splendida e sofferta dichiarazione (il corsivo ne accentua l'intento di chiave per accedere alla ratio dell'elegante plaquette): “Io è il sentimento mortale di queste pagine. / (…) / Tante braccia protese a saluto. // Si slancia in loro, si consegna all'angelo / caduto senza pietà nel mondo / (…) / Io lascia dietro di sé una voragine. // (…) // Un giorno arriva il vento e cala il sole, / di tanta fatica qualcuno ricorderà l'amore.” (p. 7).
Segue la sezione “Bagatelle di viaggio” in cui troviamo queste vibranti considerazioni: “un giorno andranno tutti via / e servirà ancora la poesia / dove nessuno lo raggiunge?” (III); “arrivare alle cose fra timori / e dubbi, e quando muori / leggere al buio l'ultima pagina.” (IV); “silenzioso pesa il nulla” (VI).
Abbiamo poi la sezione “Vuoto a perdere, e altro da me” che pare interrogarsi con ancora maggiore inquietudine sulla pessoana finzione del poeta (il titolo di questa recensione è tratto da Su un sonetto di Jean Desponde, p. 19, contenuto in questa sezione): “ancora nera sono i miei capelli ma tristi. / (…) / … «Tutto diedi a lei, chiuso in un bacio / partendo, tutto in un abbraccio. / Durò un minuto, e fui felice».” (Per una rosa, p. 17); “cala il secchio sporco di vita e tira / su quella parte di me più pulita / laggiù sommersa, / spalanca lo specchio: / quello che leggi, rovescialo.” (A una carrucola, p. 21); “Volerà lontana la parte che non pesa / dove l'aria è impenetrabile e la luce / eterna si sfarina tra le mani come gesso.” (In articulo, p. 23); “Grande è la colpa di chi è nato. / In ogni stanza il silenzio stringe le ombre / a scomparse stagioni, ad antenati senza nome.” (Lasciando Grodek, p. 25). Significativa la citazione di Alfred de Vigny preposta a La variabile umana (p. 26): À voir ce que l'on fut sur terre et ce qu'on laisse, / Seul le silence est grand; tout le reste est faiblesse.
La terza sezione si intitola “Quello che non puoi togliere” e trova nell'amare, nell'amicizia, nelle relazioni che rispettanno e valorizzano la sola traccia indelebile di ogni cammino (incluso quello dei poeti): “«Mi hai letto nel cuore, lontano amico. / Fra noi soffia sempre lo stesso vento».” (a Dario, p. 31); “Mi domando se un ricordo che da sempre ci aspetta / un giorno all'improvviso invecchia” (L'aura di Guayaquil, p. 34); “Ma io sono qui e la terra trema ogni giorno: / è la linea inferma del mondo.” (L'ultima epistola, p. 35).
Chiude il libro una poesia in corsivo come quella che lo ha aperto e che ci parla del grande poeta cieco (Omero significa “Il-non-vedente”) e tramite lui della visionarietà sonora della poesia che viene non di rado rifiutata, o accecata, o ridotta a spazi di ombra e in definitiva sempre in bilico tra l'essere negletta e l'essere capace di ricreare/trasformamare la realtà: “Il tempo è come il mare, mi ha detto, / quando passa sulla sabbia: / all'inizio è solo una macchia, poi ha fretta.”
La qualità di questa immagine è un sigillo perfetto che certifica l'intensità preziosa della poesia di Ritrovato.
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