recensione di Renzo Montagnoli
pubblicata su Arteinsieme.net
Le campagne hanno bocche di Andrea Biondi
Note critiche dei giurati Antonio Vittorio Guarino, Cesare Davide Cavoni, Germana Duca e Teresa Armenti
Copertina di Giacomo Ramberti
Fara Editore
www.faraeditore.it
Poesia
Pagg. 56
ISBN 978 88 94903 22 5
Prezzo Euro 10,00
Un anelito di speranza
Da sempre convinto assertore della necessità che l’uomo, nella sua sfrenata corsa al progresso, si fermi un attimo per pensare a quanto abbia perso della sua umanità privilegiando la civiltà delle macchine, non potevo restare insensibile a una silloge in cui si vagheggiano i ricordi di un tempo andato, allorché le relazioni con il mondo circostante, soprattutto con la terra, erano alla base di un’esistenza certamente più avara di benessere economico, ma più prodiga di accrescimento spirituale. Ma se è evidente il richiamo bucolico o comunque a una poesia agreste di illustri predecessori quali Pavese e Bertolucci, la visione delle campagne di Biondi non è fine a sé stessa, ma è improntata a una più generale stratificazione di una società in cui l’influsso del pensiero religioso cristiano è una determinante per niente secondaria. Al riguardo ci sono simboli che evidenziano quanto ho appena detto e mi riferisco alla poesia L’agnello errante (“… / sta l’agnello / col vello sbiancato nel sangue / e canta: consolate l’agnello, consolate il mio popolo” ), agnello che ritorna anche in altre liriche e che, come ben sappiamo, simboleggia il Cristo. Ma la terra non è necessariamente proprietà di una religione o di un’altra, perché proprio essa, nella sua natura primigenia, è stata fonte ispiratrice di diverse fedi, ed è la stessa terra delle Bucoliche di Virgilio e della Sora nostra madre terra di San Francesco. Con questa visione in cui predomina l’attenta analisi, non semplicemente idillica, delle manifestazioni di tutto quanto vive sulla terra e della terra stessa, emergono una serie di immagini che ben possono far comprendere quel Le campagne hanno bocche, titolo della silloge. In realtà, benché l’autore ci venga a proporre il ricordo, magari dilatato nel fantastico, di un mondo che è stato nostro fino a poco tempo fa, lascia trapelare un desiderio inconscio di recupero che prelude a un’attesa che sembra far spazio a una certezza. Sebbene le visioni prospettate siano intensamente oniriche, con una estensione fantastica di un ricordo sbiadito e ancora velato, non è possibile non notare che questi fantasmi che si agitano sono sì i nostri rimorsi per un mondo perduto, ma anche la base indispensabile per un recupero delle nostre radici e con esso di quel mondo. Quindi la poesia di Biondi non è, come potrebbe invece apparire di primo acchito, la dolorosa testimonianza di uno spasimo lacerante per qualcosa che mai più ritornerà, per un valore così elevato da rendere gramo o addirittura insopportabile il futuro, è invece una presa di coscienza grazie alla quale può nascere una speranza, ma che anche consente di ripescare nel ricordo quanto può essere utile per andare avanti.
La silloge non è certamente di facile comprensione, ma ritengo che ciò che vale possa meritare una più che attenta disamina e quindi non mi resta che augurare una buona e approfondita lettura.
Andrea Biondi (Rimini 1986) si è laureato in Lettere presso l’Università di Urbino nel 2009; nel medesimo anno e presso lo stesso ateneo ha conseguito il diploma in Scienze Religiose. Dal 2011 è docente di religione cattolica nella scuola pubblica italiana. Nel 2014 si trasferisce a Treia (MC) con moglie e figli. Insegna nella diocesi di Macerata. Ha scoperto la poesia leggendo la raccolta poetica Il ramarro di Paolo Volponi. Questa è la sua opera prima.
Note critiche dei giurati Antonio Vittorio Guarino, Cesare Davide Cavoni, Germana Duca e Teresa Armenti
Copertina di Giacomo Ramberti
Fara Editore
www.faraeditore.it
Poesia
Pagg. 56
ISBN 978 88 94903 22 5
Prezzo Euro 10,00
Un anelito di speranza
Da sempre convinto assertore della necessità che l’uomo, nella sua sfrenata corsa al progresso, si fermi un attimo per pensare a quanto abbia perso della sua umanità privilegiando la civiltà delle macchine, non potevo restare insensibile a una silloge in cui si vagheggiano i ricordi di un tempo andato, allorché le relazioni con il mondo circostante, soprattutto con la terra, erano alla base di un’esistenza certamente più avara di benessere economico, ma più prodiga di accrescimento spirituale. Ma se è evidente il richiamo bucolico o comunque a una poesia agreste di illustri predecessori quali Pavese e Bertolucci, la visione delle campagne di Biondi non è fine a sé stessa, ma è improntata a una più generale stratificazione di una società in cui l’influsso del pensiero religioso cristiano è una determinante per niente secondaria. Al riguardo ci sono simboli che evidenziano quanto ho appena detto e mi riferisco alla poesia L’agnello errante (“… / sta l’agnello / col vello sbiancato nel sangue / e canta: consolate l’agnello, consolate il mio popolo” ), agnello che ritorna anche in altre liriche e che, come ben sappiamo, simboleggia il Cristo. Ma la terra non è necessariamente proprietà di una religione o di un’altra, perché proprio essa, nella sua natura primigenia, è stata fonte ispiratrice di diverse fedi, ed è la stessa terra delle Bucoliche di Virgilio e della Sora nostra madre terra di San Francesco. Con questa visione in cui predomina l’attenta analisi, non semplicemente idillica, delle manifestazioni di tutto quanto vive sulla terra e della terra stessa, emergono una serie di immagini che ben possono far comprendere quel Le campagne hanno bocche, titolo della silloge. In realtà, benché l’autore ci venga a proporre il ricordo, magari dilatato nel fantastico, di un mondo che è stato nostro fino a poco tempo fa, lascia trapelare un desiderio inconscio di recupero che prelude a un’attesa che sembra far spazio a una certezza. Sebbene le visioni prospettate siano intensamente oniriche, con una estensione fantastica di un ricordo sbiadito e ancora velato, non è possibile non notare che questi fantasmi che si agitano sono sì i nostri rimorsi per un mondo perduto, ma anche la base indispensabile per un recupero delle nostre radici e con esso di quel mondo. Quindi la poesia di Biondi non è, come potrebbe invece apparire di primo acchito, la dolorosa testimonianza di uno spasimo lacerante per qualcosa che mai più ritornerà, per un valore così elevato da rendere gramo o addirittura insopportabile il futuro, è invece una presa di coscienza grazie alla quale può nascere una speranza, ma che anche consente di ripescare nel ricordo quanto può essere utile per andare avanti.
La silloge non è certamente di facile comprensione, ma ritengo che ciò che vale possa meritare una più che attenta disamina e quindi non mi resta che augurare una buona e approfondita lettura.
Andrea Biondi (Rimini 1986) si è laureato in Lettere presso l’Università di Urbino nel 2009; nel medesimo anno e presso lo stesso ateneo ha conseguito il diploma in Scienze Religiose. Dal 2011 è docente di religione cattolica nella scuola pubblica italiana. Nel 2014 si trasferisce a Treia (MC) con moglie e figli. Insegna nella diocesi di Macerata. Ha scoperto la poesia leggendo la raccolta poetica Il ramarro di Paolo Volponi. Questa è la sua opera prima.
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