Come si stappa un buon vino dopo tre anni d’invecchiamento così ho iniziato a gustare le pagine dell’Antologia che reca il titolo: Vino , Eros e Poesia, edito presso la Tipografia Digital Graphic Moscariello di Montella(AV), curata dai professori Alessandro Di Napoli, Giuseppe Panella e Paolo Saggese.
Come mi hanno insegnato i sommelier Antonella Iozzo, fondatrice della Rivista: BluArte e Michele Luongo, fondatore della Rivista: Via Cialdini, l’occhio vuole la sua parte, nell’ etichetta e nella forma, sulle bottiglie del buon vino.
In questo caso l’etichetta è rappresentata dall’introduzione del chiarissimo professore Francesco D’Episcopo dell’Università di Napoli, il quale ha reso chiara e tangibile l’origine e i fondamenti dell’opera di cui trattasi.
Egli ha esordito citando il poeta Alfonso Gatto, ha continuato innestando il poeta Leonardo Sinisgalli , a conferma della bellezza che il Sud dell’Italia occupa da duemila anni nella storia della produzione vinicola, grazie all’emigrazione dei popoli dell’antica Grecia e del Peloponneso.
La breve divagazione che ha portato l’introduttore a citare i consigli di suo padre, circa la somministrazione della preziosa bevanda, mi ha riportato alla mente i luoghi natali del suo Molise che ho scoperto vivendo l’esperienza etnoantropologica della corsa dei grossi carri di legno trainati da una pariglia di potenti buoi podolici, conosciuta con il sinonimo di “carrese”, dedicata al Santo Protettore “Leo”.
La stupenda corsa, al ritmo dei duri zoccoli di buoi e cavalli, finiva con un pranzo collettivo all’aperto dove la carne di maiale, ricca di aromi e peperoncino ,chiamata “ Pampanella”, veniva innaffiata con un vino meraviglioso proveniente dalle vicine cantine cooperative della comunità Arbereshe di Ururi (CB).
Anche in questa occasione l’insegnamento di cominciare a bere dalla seconda portata di cibo è stata fondamentale per non ubriacarsi.
L’idea di realizzare quest’opera è scaturita nel primo autore, Alessandro Di Napoli, a seguito di un convegno tenutosi nel luogo dove vive, l’Irpinia, al quale fecero seguito altre iniziative tese a valorizzare “ le terre del vino” lungo i fiumi Sabato e Calore: sulle colline di queste aree vengono “ allevate, curate e amate” le vigne per la produzione dei pregiati vini della nostra bella Italia Meridiana: il Taurasi, il Greco di Tufo, il Fiano, la Coda di Volpe e l’Aglianico, per citare quelli più rappresentativi.
Di Napoli e Saggese sono fondatori e continuatori del Centro di Documentazione della Poesia del Sud che da almeno un ventennio si batte per la promulgazione della Poesia Meridiana nei testi scolastici del nostro Paese: un vuoto difficile a colmarsi.
Questo lavoro ha il privilegio di alimentare la radice cara a tanti giovani studenti dei Licei e delle Università del Meridione che aspettano di realizzare tesi di lauree, corsi di studi, critiche letterarie, sui tanti poeti dimenticati dalla Letteratura Nazionale: cito come esempi: Leonardo Sinisgalli, Rocco Scotellaro, Pasquale Martiniello, Franco Costabile, Lorenzo Calogero e la poesia al femminile sconosciuta del tutto.
L’opera è suddivisa in sei capitoli: “Poesia, vino e eros in Grecia e a Roma”- “ Omar Khayyam: poeta del vino e dell’eros” (siamo in Persia intorno all’XI secolo della nostra era)- “Il vino nella poesia italiana. Da Cecco Angiolieri a Trilussa” – “ Il vino nella poesia italiana. Dal primo Novecento ai giorni nostri.” – “ MiIl vino nella poesia straniera. Da Shelley a Lorca.” – “ Il vino nella poesia straniera. Dal primo Novecento ai giorni nostri.”
I capitoli comprendono a completamento un’antologia di opere legate agli Autori presi in considerazione, ispirate al vino e alla sua funzione vivificatrice nella quotidianità dei poeti e del mondo che hanno ispirato le opere.
Tra questi vorrei privilegiare due poeti della Basilicata contenuti nell’opera: Leonardo Sinisgalli (citato dall’introduttore) e Rocco Scotellaro:
La vigna vecchia
“Mi sono seduto per terra / accanto al pagliaio della vigna vecchia. / I fanciulli strappano le noci / dai rami, le schiacciano tra due pietre. / Io mi concio le mani di acido verde./ Mi godo l’aria dal fondo degli alberi.”
Sempre nuova è l’alba
“Non gridatemi più dentro, / non soffiatemi in cuore / i vostri fiati caldi, contadini. / Beviamoci insieme una tazza colma di vino! / che all’ilare tempo della sera / s’acquieti il nostro vento disperato.” (pag. 262).
La Magna Graecia ha conosciuto un benessere maggiore nelle terre meridionali di quello vissuto in madrepatria. Le colonie greche, meravigliosa espressione di genti avanzate nell’Arte e nella produzione agricola, hanno portato nella piana di Paestum (la Poseidonia della fondazione nel VI secolo a.C.) il miglioramento delle colture e tra queste quella vinicola.
Ne sono testimone le lastre decorate di quella che oggi è conosciuta come “Tomba del Tuffatore”, patrimonio dell’Umanità, conservata nel Museo di Paestum, alla quale il poeta Gianni Rescigno ha dedicato questi versi:
“(…) Non ha tristezza Efebo. / Ad amanti in passione, / a giocatori di kattahos / offre coppe ricolme.” (Davanti alla tomba del tuffatore, pag. 280).
Il gioco del “kattahos” nell’antica Grecia consisteva nel tirare, dopo aver bevuto il vino, le coppe d’argilla dipinte con vernice nera e provviste di due manici curvi (kylix) verso un bersaglio fisso, mentre si era distesi sul letto nel corso di un banchetto.
L’Antologia con le sue quasi quattrocento pagine, ricca di bibliografia, costituisce un altro contributo alla Storia della Poesia Europea. Il profumo dei versi, l’aroma che scaturisce dalle poetiche degli Autori trattati, il felice accostamento delle opere scelte, rendono gradevole e avvincente la lettura.
Vorrei concludere, senza ubriacarmi, pago di “libertà e felicità” come ha scritto nell’introduzione D’Episcopo, riportando i versi del poeta considerato dallo stesso introduttore con queste parole: “(…) La poesia di Martiniello, che aveva, con compiaciuta esperienza, attraversato la selva di uno sperimentalismo avido d’avanguardia, trova nell’impatto con le radici le vere ragioni di una ricerca autenticamente personale. La terra, ancora una volta, dona sangue vitale alle parole, che non si perdono nel labirinto di un evanescente delirio, bensì si impregnano di sostanza etica ed estetica, svelando la esistenzialità di una presenza né effimera né estenuante.”
“(…) Com’era caro il gesto / che passava la bottiglia / di vino rosso da bocca a bocca / saporita la frittata / d’aglio cipolla e uovo / la ciambotta di patate / e peperoni/ pizzicosi di sale.” (dalla raccolta: I canti della memoria, Edizioni Ibiskos 1995).
Come mi hanno insegnato i sommelier Antonella Iozzo, fondatrice della Rivista: BluArte e Michele Luongo, fondatore della Rivista: Via Cialdini, l’occhio vuole la sua parte, nell’ etichetta e nella forma, sulle bottiglie del buon vino.
In questo caso l’etichetta è rappresentata dall’introduzione del chiarissimo professore Francesco D’Episcopo dell’Università di Napoli, il quale ha reso chiara e tangibile l’origine e i fondamenti dell’opera di cui trattasi.
Egli ha esordito citando il poeta Alfonso Gatto, ha continuato innestando il poeta Leonardo Sinisgalli , a conferma della bellezza che il Sud dell’Italia occupa da duemila anni nella storia della produzione vinicola, grazie all’emigrazione dei popoli dell’antica Grecia e del Peloponneso.
La breve divagazione che ha portato l’introduttore a citare i consigli di suo padre, circa la somministrazione della preziosa bevanda, mi ha riportato alla mente i luoghi natali del suo Molise che ho scoperto vivendo l’esperienza etnoantropologica della corsa dei grossi carri di legno trainati da una pariglia di potenti buoi podolici, conosciuta con il sinonimo di “carrese”, dedicata al Santo Protettore “Leo”.
La stupenda corsa, al ritmo dei duri zoccoli di buoi e cavalli, finiva con un pranzo collettivo all’aperto dove la carne di maiale, ricca di aromi e peperoncino ,chiamata “ Pampanella”, veniva innaffiata con un vino meraviglioso proveniente dalle vicine cantine cooperative della comunità Arbereshe di Ururi (CB).
Anche in questa occasione l’insegnamento di cominciare a bere dalla seconda portata di cibo è stata fondamentale per non ubriacarsi.
L’idea di realizzare quest’opera è scaturita nel primo autore, Alessandro Di Napoli, a seguito di un convegno tenutosi nel luogo dove vive, l’Irpinia, al quale fecero seguito altre iniziative tese a valorizzare “ le terre del vino” lungo i fiumi Sabato e Calore: sulle colline di queste aree vengono “ allevate, curate e amate” le vigne per la produzione dei pregiati vini della nostra bella Italia Meridiana: il Taurasi, il Greco di Tufo, il Fiano, la Coda di Volpe e l’Aglianico, per citare quelli più rappresentativi.
Di Napoli e Saggese sono fondatori e continuatori del Centro di Documentazione della Poesia del Sud che da almeno un ventennio si batte per la promulgazione della Poesia Meridiana nei testi scolastici del nostro Paese: un vuoto difficile a colmarsi.
Questo lavoro ha il privilegio di alimentare la radice cara a tanti giovani studenti dei Licei e delle Università del Meridione che aspettano di realizzare tesi di lauree, corsi di studi, critiche letterarie, sui tanti poeti dimenticati dalla Letteratura Nazionale: cito come esempi: Leonardo Sinisgalli, Rocco Scotellaro, Pasquale Martiniello, Franco Costabile, Lorenzo Calogero e la poesia al femminile sconosciuta del tutto.
L’opera è suddivisa in sei capitoli: “Poesia, vino e eros in Grecia e a Roma”- “ Omar Khayyam: poeta del vino e dell’eros” (siamo in Persia intorno all’XI secolo della nostra era)- “Il vino nella poesia italiana. Da Cecco Angiolieri a Trilussa” – “ Il vino nella poesia italiana. Dal primo Novecento ai giorni nostri.” – “ MiIl vino nella poesia straniera. Da Shelley a Lorca.” – “ Il vino nella poesia straniera. Dal primo Novecento ai giorni nostri.”
I capitoli comprendono a completamento un’antologia di opere legate agli Autori presi in considerazione, ispirate al vino e alla sua funzione vivificatrice nella quotidianità dei poeti e del mondo che hanno ispirato le opere.
Tra questi vorrei privilegiare due poeti della Basilicata contenuti nell’opera: Leonardo Sinisgalli (citato dall’introduttore) e Rocco Scotellaro:
La vigna vecchia
“Mi sono seduto per terra / accanto al pagliaio della vigna vecchia. / I fanciulli strappano le noci / dai rami, le schiacciano tra due pietre. / Io mi concio le mani di acido verde./ Mi godo l’aria dal fondo degli alberi.”
Sempre nuova è l’alba
“Non gridatemi più dentro, / non soffiatemi in cuore / i vostri fiati caldi, contadini. / Beviamoci insieme una tazza colma di vino! / che all’ilare tempo della sera / s’acquieti il nostro vento disperato.” (pag. 262).
La Magna Graecia ha conosciuto un benessere maggiore nelle terre meridionali di quello vissuto in madrepatria. Le colonie greche, meravigliosa espressione di genti avanzate nell’Arte e nella produzione agricola, hanno portato nella piana di Paestum (la Poseidonia della fondazione nel VI secolo a.C.) il miglioramento delle colture e tra queste quella vinicola.
Ne sono testimone le lastre decorate di quella che oggi è conosciuta come “Tomba del Tuffatore”, patrimonio dell’Umanità, conservata nel Museo di Paestum, alla quale il poeta Gianni Rescigno ha dedicato questi versi:
“(…) Non ha tristezza Efebo. / Ad amanti in passione, / a giocatori di kattahos / offre coppe ricolme.” (Davanti alla tomba del tuffatore, pag. 280).
Il gioco del “kattahos” nell’antica Grecia consisteva nel tirare, dopo aver bevuto il vino, le coppe d’argilla dipinte con vernice nera e provviste di due manici curvi (kylix) verso un bersaglio fisso, mentre si era distesi sul letto nel corso di un banchetto.
L’Antologia con le sue quasi quattrocento pagine, ricca di bibliografia, costituisce un altro contributo alla Storia della Poesia Europea. Il profumo dei versi, l’aroma che scaturisce dalle poetiche degli Autori trattati, il felice accostamento delle opere scelte, rendono gradevole e avvincente la lettura.
Vorrei concludere, senza ubriacarmi, pago di “libertà e felicità” come ha scritto nell’introduzione D’Episcopo, riportando i versi del poeta considerato dallo stesso introduttore con queste parole: “(…) La poesia di Martiniello, che aveva, con compiaciuta esperienza, attraversato la selva di uno sperimentalismo avido d’avanguardia, trova nell’impatto con le radici le vere ragioni di una ricerca autenticamente personale. La terra, ancora una volta, dona sangue vitale alle parole, che non si perdono nel labirinto di un evanescente delirio, bensì si impregnano di sostanza etica ed estetica, svelando la esistenzialità di una presenza né effimera né estenuante.”
“(…) Com’era caro il gesto / che passava la bottiglia / di vino rosso da bocca a bocca / saporita la frittata / d’aglio cipolla e uovo / la ciambotta di patate / e peperoni/ pizzicosi di sale.” (dalla raccolta: I canti della memoria, Edizioni Ibiskos 1995).
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