Antono Nesci, Disimpegno di un burattino in una scena di volo, Edizioni dell'Aurora 2016, pp. 96, € 10,00
recensione di AR
Il distico che ho scelto come titolo appartiene a una poesia dell'ultima sezione di questo memoir in versi scandito in sette tappe: 1. Ho cercato me stesso in ogni ombra, 2. Ho abbandonato il gregge, 3. … è nel pane che c'è l'universo, 4. Avevo corpo di legno e pensieri bambini, 5. C'è paura, nella notte, quando il silenzio ci racconta il buio, 6. Torno a casa, e infine 7. Ditemi qual è il mio nome. Di quest'ultima sezione propongo anche questi lacerti della splendida poesia intitolata Ci hanno separato (p. 71): “Ci hanno separato l'anima dal cuore / ancora sanguinante di respiro, / siamo rimasti nudi delle nostre carni, / vuoti come zampogne afflosciate, / abbiamo aspettato / un cambio di rotta / (…) / Eravamo l'una accanto all'altro / l'anima ed io, / teneri amanti in un dolce abbandono.”
Questo discorso sul senso dell'andare dell'anima e del corpo lo troviamo diffuso in tutta l'opera, ad es. in questi versi della poesia La prossima partita a p. 28: ”Cerco l'uscita minima / dell'anima, cerco l'altra via / che porta oltre il rumore / delle mani che si nutrono a strette / ipocrisie, cerco un pensiero clandestino, / un colpo di coda”. O in Ma poi? (p. 26): “Siamo davvero costole / che vanno a ricomporsi / nel lontano infinito? / O soltanto cosa / che va sfogliandosi lentamente / svanendo tra l'aria del tempo?”
È presente anche il tema della conoscenza che implica responsabilità e sofferenza: “prima di questo esistere, prima / del mattone e della ruota, / ero un unico cerchio d'acqua e di fuoco / insieme e non soffrivo, / non sapevo / ciò che ero, nel più assurdo dei vuoti.” (Non sapevo, p. 23).
Già il burattino del titolo ci stimola a riflettere sui condizionamenti a cui siamo soggetti come esseri animati e senzienti (che a volte sembrano però dimenticarsi di avere un'anima e un sentire e finiscono per essere eterodiretti da altri e/o dagli eventi: ma in fondo tutti noi abbiamo fili più o meno nascosti con cui fare i conti e il burattino di Antonio Nesci è “disimpegnato”, è un po' un folle che come ogni autentico poeta non ha paura di volare, di andare oltre, di ricomporre in maniera nuova e sorprendente i fili dell'esistenza: “… Sono dell'essere / la parte che per sentirsi acrobata / non vuole cadere mai.”, p. 32). Nella poesia a p. 57 (dedicata a Gipi) troviamo questi intensissimi versi: “La luce dei morenti / traccia linee d'ombra / per saggiare il punto fermo / dell'eternità, / minuscolo appare il cuore / palpitante / del gitano che rincorre il vento / di criniere… / (…) / e ogni parola / l'era el fià de un ricordo / sbrissà da le mane.”
Nella pagina successiva: “Quando / nell'angolo scuro del tempo / vedrò finalmente i pensieri / dondolare su ragnatele? / Quando sarai mio, giorno, / per aspettare l'universo insieme?”
Già da queste poche citazioni possiamo assaporare il tono sapienziale di questa raccolta che offre immagini splendide, visioni che sono un'empatica interpretazione della realtà, con le sue crudezze e le sue struggenti bellezze: “Io non ho nessun nido, per dare vita ai sogni, / ma le foglie, prima di toccare terra, / credono di essere farfalle.” (Gli alberi, p. 51); “Urlano gli alberi quando il vento / scuote il cielo e piangono / la loro storia di radici e tempo, poi / tacciono con le braccia alzate / in una silenziosa / preghiera di resa …” (VI movimento della prima sezione).
La musica che mi verrebbe in mente di abbinare a queste poesie, è la colonna sonara che Yann Tiersen ha creato per La storia di Amélie: una leggerezza carica di saudade dà infatti alle parole di Antonio una pervasività discreta che si insinua fino a toccarci le corde più profonde e nascoste.
Non mancano riferimenti evangelici: “Sembra voler disegnare ogni orizzonte / il seminatore che sparge il seme, prima al cielo, / poi alla terra. Semina mostrando a Dio / la fatica di morire, la speranza che tutto torni vita.” (Il seminatore II, p. 42); “Se a piangere insieme a noi / si unisse un dio / sarebbe più facile / nutrirci con pane e pesci, / ma oggi i discorsi sono fatti in altri luoghi / che non ti lasciano entrare / con il pensiero.” (Così gira il sole, p. 35).
Un percorso di vita che si fa poesia e ci avvolge e accompagna con profonda ed autentica amicizia.
recensione di AR
Il distico che ho scelto come titolo appartiene a una poesia dell'ultima sezione di questo memoir in versi scandito in sette tappe: 1. Ho cercato me stesso in ogni ombra, 2. Ho abbandonato il gregge, 3. … è nel pane che c'è l'universo, 4. Avevo corpo di legno e pensieri bambini, 5. C'è paura, nella notte, quando il silenzio ci racconta il buio, 6. Torno a casa, e infine 7. Ditemi qual è il mio nome. Di quest'ultima sezione propongo anche questi lacerti della splendida poesia intitolata Ci hanno separato (p. 71): “Ci hanno separato l'anima dal cuore / ancora sanguinante di respiro, / siamo rimasti nudi delle nostre carni, / vuoti come zampogne afflosciate, / abbiamo aspettato / un cambio di rotta / (…) / Eravamo l'una accanto all'altro / l'anima ed io, / teneri amanti in un dolce abbandono.”
Questo discorso sul senso dell'andare dell'anima e del corpo lo troviamo diffuso in tutta l'opera, ad es. in questi versi della poesia La prossima partita a p. 28: ”Cerco l'uscita minima / dell'anima, cerco l'altra via / che porta oltre il rumore / delle mani che si nutrono a strette / ipocrisie, cerco un pensiero clandestino, / un colpo di coda”. O in Ma poi? (p. 26): “Siamo davvero costole / che vanno a ricomporsi / nel lontano infinito? / O soltanto cosa / che va sfogliandosi lentamente / svanendo tra l'aria del tempo?”
È presente anche il tema della conoscenza che implica responsabilità e sofferenza: “prima di questo esistere, prima / del mattone e della ruota, / ero un unico cerchio d'acqua e di fuoco / insieme e non soffrivo, / non sapevo / ciò che ero, nel più assurdo dei vuoti.” (Non sapevo, p. 23).
Già il burattino del titolo ci stimola a riflettere sui condizionamenti a cui siamo soggetti come esseri animati e senzienti (che a volte sembrano però dimenticarsi di avere un'anima e un sentire e finiscono per essere eterodiretti da altri e/o dagli eventi: ma in fondo tutti noi abbiamo fili più o meno nascosti con cui fare i conti e il burattino di Antonio Nesci è “disimpegnato”, è un po' un folle che come ogni autentico poeta non ha paura di volare, di andare oltre, di ricomporre in maniera nuova e sorprendente i fili dell'esistenza: “… Sono dell'essere / la parte che per sentirsi acrobata / non vuole cadere mai.”, p. 32). Nella poesia a p. 57 (dedicata a Gipi) troviamo questi intensissimi versi: “La luce dei morenti / traccia linee d'ombra / per saggiare il punto fermo / dell'eternità, / minuscolo appare il cuore / palpitante / del gitano che rincorre il vento / di criniere… / (…) / e ogni parola / l'era el fià de un ricordo / sbrissà da le mane.”
Nella pagina successiva: “Quando / nell'angolo scuro del tempo / vedrò finalmente i pensieri / dondolare su ragnatele? / Quando sarai mio, giorno, / per aspettare l'universo insieme?”
Già da queste poche citazioni possiamo assaporare il tono sapienziale di questa raccolta che offre immagini splendide, visioni che sono un'empatica interpretazione della realtà, con le sue crudezze e le sue struggenti bellezze: “Io non ho nessun nido, per dare vita ai sogni, / ma le foglie, prima di toccare terra, / credono di essere farfalle.” (Gli alberi, p. 51); “Urlano gli alberi quando il vento / scuote il cielo e piangono / la loro storia di radici e tempo, poi / tacciono con le braccia alzate / in una silenziosa / preghiera di resa …” (VI movimento della prima sezione).
La musica che mi verrebbe in mente di abbinare a queste poesie, è la colonna sonara che Yann Tiersen ha creato per La storia di Amélie: una leggerezza carica di saudade dà infatti alle parole di Antonio una pervasività discreta che si insinua fino a toccarci le corde più profonde e nascoste.
Non mancano riferimenti evangelici: “Sembra voler disegnare ogni orizzonte / il seminatore che sparge il seme, prima al cielo, / poi alla terra. Semina mostrando a Dio / la fatica di morire, la speranza che tutto torni vita.” (Il seminatore II, p. 42); “Se a piangere insieme a noi / si unisse un dio / sarebbe più facile / nutrirci con pane e pesci, / ma oggi i discorsi sono fatti in altri luoghi / che non ti lasciano entrare / con il pensiero.” (Così gira il sole, p. 35).
Un percorso di vita che si fa poesia e ci avvolge e accompagna con profonda ed autentica amicizia.
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