Donne nell'acqua loro di Florisa Sciannamea Edizioni Dal Sud Recensione a cura di Claudia Piccinno
L’acqua che dà la
vita
Chiuso il libro di Florisa sono andata alla ricerca
di alcuni appunti che avevo scritto nel 2011, quando certamente non conoscevo
ancora l’autrice…ve ne riporto uno stralcio “Nuotavo lenta nel liquido amniotico della
mia anima...............l'acqua blu mi riportava alla mente ricordi
d'infanzia,quella trasparente prendeva le sembianze di me adolescente. Se ero
agitata percepivo l'azzurro delle cascate, la paura di cadere a picco a un
tratto esplodeva per poi diventare culla liquida a valle. Come un corso d'acqua
si fa mite alla fine del salto, così io mi chetavo dopo l'incertezza,come se la
paura dell'ignoto mi avesse colta impreparata e poi mi fossi a un tratto
sentita pronta, decisa, rilassata.” La
scrittrice sceglie la piscina, un’acqua antropizzata e infestata dalle mutanti perché il caso volle che un
corso d’acquagym divenisse pretesto di osservazione dell’umanità in cui siamo
immersi, alibi per rifugiarsi in intimistica introspezione, e poi trampolino di
lancio per un tuffo in mare aperto. L’acqua assolve un ruolo decisivo nel
percorso quotidiano di una donna alle prese con un periodo non facile, in cui è
alla ricerca di una zattera che la tragga fuori dal pantano delle ipocrisie e
la traghetti in acque limpide e mai stagnanti. La piscina è la culla liquida di
Florisa, che le consente lunghi mesi di prove in solitaria e in gruppo, le
insegna a galleggiare, a rispettare gli spazi altrui e a difendere il proprio,
malgrado brusche virate delle sue compagne spesso l’abbiano trascinata fuori
rotta. Ho gustato le pagine di questo suo diario, ritrovandomi in ognuna delle
donne presenti, perché a prescindere da estrazione sociale, fattezze fisiche,
gusti nel vestire, doti culinarie, espressioni caratteriali, noi donne siamo
accomunate da almeno due elementi: dolore e forza “Le mie mutanti lo sanno e non ridono. Loro come me hanno tante
cicatrici, dentro e fuori del corpo, non si identificano con la mimosa. Sì,
bella a vedersi, ma effimera e troppo fragile…NOI SIAMO ALBERI: alberi da
frutto, piccoli, grandi, sottili, robusti. Le nostre chiome sono spettinate dal
vento della vita, ma ripariamo gli altri e quando ci spezziamo è solo perché ci
facciamo travolgere dai nostri sentimenti.”
E ancora:“ Siamo corridoi per vite
che ci attraversano, latte e miele mescolati a dolori e gioie”Mentre
leggevo tra commozione e divertimento per le immagini immediate che lo stile
dell’autrice materializzava nella mia mente, mi dicevo che sarebbe auspicabile
trasformare il diario in uno sceneggiato televisivo, sia per restituire dignità di libro a quello che
può apparire un rotocalco estivo, ma ancor più per fronteggiare la barbarie
dell’omologazione con una storia schietta e sopra le righe di una donna che
nulla teme per ricominciare, dopo un giro di boa, a navigare verso mete
inesplorate e isole avvincenti. Le donne nell’acqua loro sono una lezione di
entusiasmo, Florisa si riappropria della sua identità di donna- artista, madre-
nonna, scrittrice- stilista, e lo fa senza nascondersi dietro un’iniezione di
botulino, ma fiera delle sue rughe e delle sue cicatrici. Questa lezione
riabilita anche Moby, la donna balena e tutte noi mutanti, perché la vera
metamorfosi prescinde dal tempo che incombe, ma avviene secondo ritmi interiori
scanditi da dolore e forza.
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