mercoledì 19 luglio 2017

L'intersezione del senza tempo nel tempo

Daniele Gigli, Fuoco unanime, Joker 2016

recensione di AR


http://www.edizionijoker.com/Pagine%20libri/ARC%20-%20Fuoco%20unanime%20-%20Gigli.html



Già nella prima poesia, Civiltà del fuoco, Daniele Gigli ci pone questa domanda (con un riferimento iniziale a Wystan Auden): “a quelli che consumano la vita a fuoco basso, / a loro quali grida, quali danze di vendetta?” (p. 9). Di danze erotiche, di conoscenza, di evoluzione, di pensieri… si parla nello splendido poemetto Lascaux (movimento 2, p. 49), poemetto che troviamo all'interno della sezione che dà il titolo al libro: “Soltanto nella danza. Il fuoco preso e reso, / il fuoco acceso al legno, i sassi a schermo, e maschi / e femmine legati e sciolti, in danza, / in successione: mani e cosce, mani e mani, grida e mani / al dio, alla notte e al giorno, al tempo sempre uguale / e sempre nuovo.”
A p. 43, nel terzo movimento della poesia Fuoco unanime, ne troviamo un'altra che mette in gioco una visione del mondo: “Pietà per quale colpa, a che dolore rendere giustizia? / S'impastano giudizio e fatto, si elidono, fingono coincidenza: / arresi alla menzogna lieve delle cose, / del qui e dell'ora fuori dal qui e ora.”
A p. 59, nel quarto movimento di Alyscamps, la domanda tremenda che cova in tutti noi: “Tempo confuso e in pena, / tempo fermo, tempo senza fine. // «Avremo un corpo luminoso un giorno?» / S'innalzano preghiere dalle case, / dai borghi che inchiodarono le assi [delle bare].”
La raccolta, divisa in 6 sezioni di lunghezza diseguale (“Agli uomini e al dio”, “Accostamenti”, “Presenze”, “Mercoledì delle ceneri”, “Fuoco unanime” (composta di 4 poemetti tra cui l'eponimo), “In exitu”), è carica di energia, scuote e provoca il lettore… anche quando pare “riposarsi”, rinveniamo nel poeta torinese una inquietudine necessaria, una vibrazione tellurica che chiede ragione al Cielo di questa natura ordinata che appare però non di rado matrigna e sfuggente, di questa umanità “infuocata” eppure sghemba e dai “passi storti” (cfr. p. 47), impaziente e carica di hybris, di arroganza (cfr. p. 54), del “peso nero dell'orgoglio, della dismisura.” (movimento 5 di Al piano mezzanino, p. 67)
C'è in quest'opera una evidente tensione alta, la ricerca di una una dimensione trascendente, una assimilazione del fuoco evangelico (cfr.  Lc 12,49-53), un dare alle parole la forza di una verità nuda che mette a nudo (il poeta e chi lo ascolta), un far soffiare nei versi la musica di un Figlio che ci ama sempre e incomprensibilmente dalla croce, che si annulla e ci risolleva da ogni abiezione: “Guardami, Signore, e accogli questo canto di ascensione.” (Salmo, p. 10).
A volte ci sentiamo più al sicuro nella nostra piccola e asfittica realtà, padroni di un regno minimo, effimero e sotto attacco ma che sentiamo il nostro mondo: “L'avrebbero capito i posteri, i rimasti, che disserrare / la cella al prigioniero è peggio che ucciderlo, / è togliergli, in fondo, la sola ragione di vita: il nemico.” (Somma, p. 16).
L'essere umano è memoria che cammina, identità che può essere tale solo se in relazione, solo se non è sola, solo se c'è altro/Altro (John Donne ci ricorda che: No man is an Iland, intire of it selfe; every man is a peece of the Continent, a part of the maine…); le orme/tracce di ogni persona sono sempre segni dotati di senso, interpretabili, rivolti a: “Giacciono dietro la retina i ricordi, segni sparsi di significato.” (Alleanza, p. 21). La vita “senza fuoco attende, spasima, freme / chiusa tra pensiero e passo, / tra abbandono e fede.” (p. 23). 
L'uomo è “il significante morte” che “chiede vita” (Via Calandra, sei di sera, p. 25).
Troviamo immagini indelebili, in queste pagine, che svolgono con grande intensità la loro funzione di correlativo oggettivo: “tesi sui campi seminati a grano s'alzano netti i cavi della luce / – dai tralicci tracciano le linee sulla terra dura.” (p. 24); “Dove il vespro incendia verso sera e immenso / il sole fuoco-arancio stupra i campi” (Campo volo, p. 27); “Sotto il ginepro le ossa cantavano sparse e lucenti / siamo grate di essere sparse (facemmo un po' di bene l'una all'altra), / sotto un albero al fresco del giorno, benedette dalla sabbia” (“Mercoledì delle ceneri” 2, p. 34, tutta questa sezione, una traduzione artistica del testo eliotiano, è poi particolarmente drammatizzata, ricca di anafore, iterazioni, invocazioni ed echi biblici che inondano il lettore come salmi); “nell'ora d'aria che riscatta il tempo” (Fuoco unanime, p. 43); “La scimmia stacca via la presa al ramo, giù dal ramo, / azzampa la savana controvoglia.” (Lascaux, p. 48); “La nebbia cresce e imbianca, / vela, bagna i panni, suda nelle ossa.” (movimento 2 di Al piano mezzanino, p. 64).
C'è una bellezza in noi e nell'universo che richiede attenzione e sembra a volte schiacciarci: “Bellezza che non vista intessi l'ordine del mondo, / che spacchi d'ansia i bronchi e fermi il sangue.” (movimento 7 di Alyscamps, p. 62). E se alla fine, “In exitu”, il poeta ribalta il detto paolino – “Ma la materia è salda più che non lo spirito, / può più la terra di una luce a sbalzo.” (p. 75) – e vorrebbe in dimidio vitae tentare “un'altra strada”, una Voce gli ricorda che ciascuno ha la sua croce, il suo posto in cui è chiamato a servire, umilmente ma sempre amato per come è: “«Mi spiace, amico, ma io ti amo dove sei, / dove ti voglio io».” (ivi).
Il fuoco ci attira dal roveto e non si consuma, il poeta può diffonderlo ma al prezzo di lasciarsi lui stesso infuocare, purificare, e togliendosi comunque i sandali.
Un'opera, questa di Daniele Gigli, che meritatamente ha vinto il premio Camposampiero, perché così ricca di vibrazioni autentiche per la nostra carne e il nostro spirito, di musica che dona immagini forti e conturbanti, di poesia che “arriva” e resta e rende unanime/condivisa la domanda di Dio (con il genitivo inteso in senso oggettivo e soggettivo: la nostra ricerca di Dio e l'accoglimento della vocazione di Colui-che-è ad amarci e ad amare). Certo il cammino è impegnativo, ma non siamo soli.

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