Paolo Valesio
IL SERVO ROSSO
POESIE SCELTE 1979-2002
THE RED SERVANT
SELECTED POEMS 1979-2002
A cura di Graziella Sidoli
Traduzione inglese
Michael Palma e Graziella Sidoli
Prefazione di Piero Sanavìo
Nota dell’Autore
puntoacapo 2016, pp. 330, € 30,00
recensione di AR
Come l'Apostolo di cui porta il nome, Valesio è animo inquieto e cercatore di assoluto: la sua poetica ben riflette la tensione fra carne e spirito, realtà quotidiana e Regno dei Cieli, parola e Silenzio (con la maiuscola perché non è tanto assenza di rumore o vuoto abisso ma, ossimoricamente, lo spazio illimitato-tempo immisurabile che rende possibile l'esistere del creato, dell'universo, dello spazio-tempo e della parola che sempre porta con sé, specie se parola creativo-poetica, le stigmate di un oltre misterioso, ineffabile eppure persistente e pervasivo, nonostante i tentavi dell'uomo moderno di surrogarlo con avatar epidermici ed effimeri). Il servo rosso è un'autoantologia ottimamente curata da Graziella Sidoli con versione inglese a fronte (della stessa Sidoli e di Michael Palma) che ci offre le “lastre” più significative (almeno a giudizio dell'autore) dell'uomo, poeta e credente (sì perché la fede si nutre nel dubbio, purché si abbia l'umiltà di riconoscersi increduli e bisognosi di aiuto) Paolo Valesio. La raccolta si apre con questi versi tratti da Pregando a Manhattan (p. 16): «Può l'ateo rassegnarsi ad essere insipiens? / No: / il credente, sì, può ignorare i particolari e la storia della legge sotto la quale egli vive. / Ma l'ateo non ha via d'uscita: / egli deve essere sempre anche teologo.»
Come in san Paolo la ricerca del trascendente è quasi totalmente priva della figura di Maria, forse un segnale della minore necessità del lato materno di Dio o, al contrario, rimozione di un aspetto di cui ci si è da sempre sentiti privati? Solo l'autore può rispondere e comunque una risposta non è necessaria alla fruibilità di una voce poetica di forte orginalità, paolina parresia e kirkegaardiana inquietudine benché declinata in maniera più fisica, materica, immaginifica: «Chi ascolta le parole di preghiera da altri recitate non può poi o prima non vedersi sorgere nella mente e distendersi un sentiero di pietre consunte (…)» (ivi, p. 18); «rimarrò casto, se da te violato.» (ivi. p. 20); «Adesso l'aurea crosta si è staccata, / e tra le sbarre della gabbia fradicia / la scimmia del pensiero è ormai fuggita.» (da La rosa verde, p. 22); «Gli avvoltoi sono filosofi nudi / (…) / prima di ogni altro membro, / ingoiano gli occhi.» (da Il dialogo del falco e dell'avvoltoio, p. 34); «afferriamoci almeno / al tocco che rende diversi; / fosse pure soltano uno sgorbio, / una “i” accecata del puntino» (da La Campagna dell'Ottantasette, p. 44).
A p. 68 troviamo tre Versi scritti su un bottone che applicano, credo, l'insegnamento evangelico di amare i propri nemici, in maniera esistenzialmente provata: «È triste veder piangere un amico / ma è atroce vedere un nemico / che piange.»
A p. 70 troviamo queste righe così splendidamente provocanti tratte dalla poesia intitolata La nona giornata della Novena di Santa Teresa di Lisieux: «Siamo soltanto un piccolo /popolo dentro a un cuore. / A ogni alba parliamo con qualcuno / che mai risponde / (…) / ma che pure non cessa di ascoltarci». Abbiamo a che fare con il mistero del Dio nascosto che pure il fedele sa (sempre) in ascolto, e con la prassi delle preghiera che acquista senso (facendosi appunto ascoltare da un Tu comunque accogliente) anche se pronunciata da labbre aride, incredule, ferite, colpevoli e magari distratte: «“(…) / ognuno tra di noi chiede soccorso / per la sua povera / anima crudele”.»
Il poeta è un'anima che sa mettere e mettersi a nudo: «Stamattina ha cavato fuori l'anima. / (…) / Ha affondato pian piano la mano / dentro la gola / (…) / (gli sembrava di mordersi la gola / con i suoi stessi denti), / e ha posato il minuscolo uomo / rosso come lacca / (era unto di sangue) / sul tavolo; l'ha ripulito, / (…) / Al momento di riporlo, le mani hanno un poco tremato: / se non avesse più trovato il suo posto?» (Il servo rosso, p. 82). Ogni esposizione è dolorosa e rischiosa, ma chi canta al ritmo dei versi non può evitare di porgersi e porgerli con la loro anche cruenta verità.
La dimensione orante e teologica è sempre una tensione (tragica ma a tratti venata di umorismo), un ponte tibetano gettato non solo sull'abisso ma pure proiettato in direzione di una sponda-che-non-c'è (se non appunto ricorrendo alla fede): «le orazioni scavano la melma / e il legno e i frantumi / lavorano per la sopravvivenza / son opera del sottosuolo.» (da Piazza delle preghiere massacrate, Le orazioni, p. 88); «Dopo la Resurrezione, / (…) / vi è ancora chi muore dopo aver vissuto / ma adesso vi è anche / chi prima di vivere muore / e chi soltanto dopo morto vive. / Saltando e risaltando oltre il confine, / cavallette della vita attiva, / tentiamo di trascendere la morte; / e il sublime genera commedia.» (ivi, Uno strano trionfo, p. 90); «una bella mattina ho sentito / l'aridità della mia vita al trivio / mi sono dietro-volto / al Dio di mio padre / al Dio che qualche volta si epifana / in cruciforma / al Dio poco di moda» (ivi, La fede firmata, p. 96); «io e la vita mia, / mai ci siamo incontrati. Ma poi penso: / queste albe, qualcuno le ha mandate; / queste albe, qualcuno le deve accogliere.» (ivi, La tentazione, p. 100).
A metà del libro abbiamo la faretra che accoglie i “dardi” di Volano in cento (tradotta da Graziella Sidoli), una delle due raccolte, assieme a Ogni meriggio può arrestare il mondo (tradotta da Michael Palma), offerte integralmente nell'antologia: sia per la posizione che per la compltezza, è evidante che abbiamo a che fare con una tappa importante del cammino poetico di Valesio, ne riporto di alcuni alcuni lacerti: «Ascoltami se vuoi: la preghiera / è un intraversabile burrone» (Dardo 4, p. 106); «Signor fa' che ogni ruga del reale / mi torni interessante – e non basta: / che sia strana, che sia perplessante.» (Dardo 23, p. 127); «Bel torace di Cristo, fa' da scudo / al tronco della croce bruto e nudo;» (Dardo 31, p. 134); «Se non mi dai risposta questo è il segno / che mi stai ascoltando.» (Dardo 56, p. 158); «Il dono della preghiera / (…) / è dato in dotazione ai non dotati.» (Dardo 71, p. 178); «A ogni alba lo stesso tentativo / a ogni alba lo stesso tenta-vivo: / tentare di decidere / se la vita è al di qua o al di là / della linea del risveglio;» (Dardo 85, p. 194).
Seguono i 30 sonetti di Ogni meriggio può arrestare il mondo, raccolta in cui Valesio pare giocare tonalità più ironiche e sfumate fino all'idillio ma sempre dense di dubbi ardenti: «Chi debbo ringraziare per le rondini / a gara con il cembalo e i violini? / Chi posso ringraziare del profumo / dei fiori scapligliati in braccio al buio?» (Concerto in chiostro, p. 230); «Qualche volta pronunzi ad alta voce, / quando sei solo, la parola “vita”; / e ti appaùri, vedendo la foce / del fiume che ti scorre tra le dita. // “Vita” più “tua”: che congiunzione atroce!» (Il confronto e il bilancio, p. 238). Non mancano certo anche qui poesie vertiginosamente attraversate dal religioso, misticamente inchiodato allo scandalo cristiano del Golgota: «Qual è la prospettiva della Croce? / Lento strisciare a un termine lontano / giocando a fare da assistente al boia / (portiamo in spalla quello che ci uccide).» (Venerdì Santo, p. 256).
Un libro che si offre compatto nella diveristà di metri e ritmi (da quelli quasi prosastici, all'efficace rivisitazione del sonetto) per il suo darsi come trancio d'anima di un poeta come Petrarca affascinato dal sacro, anzi in particolare dal divino che si è fatto prossimo nella Parola incarnata del Figlio dell'Uomo e che come tutti noi deve fare i conti con le proprie zavorre, con quelle tentazioni che ci trattengono alla superficie di ciò che siamo (e siamo quasi angeli ma non dèi), con quelle ferite, deviazioni, incompiutezze e putridità che pure sono necessarie al nostro definirci e possono alimentare le nostre potenzialità (il letame è un ottimo concime). Certo l'uomo di oggi non desidera essere servo di nessun altro, tantomeno di un Dio che si considera al massimo una proiezione ingenua di bisogni che possono essere soddisfatti altrimenti… eppure la poesia di Valesio ci ricorda che siamo tutti poca cosa, servi inutili ma preziosi e unici se ci lasciamo umilmente lavorare dalla gioia di Dio e ci accodiamo al Maestro (cfr. il sonetto La sfida, p. 264), l'Unico che sa leggere il nostro “verso” (il retro dell'arazzo che è la nostra vita) e vederne già la bellezza in cammino.
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