venerdì 9 dicembre 2016

Gi Specchi Critici - Il Distacco Ironico in Liberi Tutti di Giuseppe Acconcia - Luca Cenacchi

L’intellettuale e la realtà: il distacco ironico

Liberi Tutti è la raccolta di poesie di Giuseppe Acconcia edita per la casa editrice Oedipus. Il libro presenta una versificazione distesa e contratta che, in ambedue i casi, non sfugge a tentazioni narrative e, anzi, a parte rare eccezioni, l’autore sviluppa istanze di racconto attraverso la rievocazioni di ricordi che vanno mescendosi ad altri sostrati letterari contribuendo, insieme, a creare un effetto di spaesamento funzionale nel lettore.

Questa sensazione è subito netta nella poesia Apolidia, uno dei picchi di sintesi e maturità stilistica. Qui si va stabilendo, nell’economia narrativa, un alternarsi temporale tra passato prossimo la cui funzione grammaticale, già come verbo, è quella di ponte; questa funzione viene esacerbata poiché collega il passato remoto della seconda strofa, permettendo a questo, dunque, di avere un colpo di frusta retroattivo sul presente stesso. Questo è importante perché l’economia stilistica dell’autore si snoda attraverso continue sovrapposizioni, non solo di eventi passati o presenti, ma anche di luoghi geografici, motivi non tanto letterari quanto più largamente culturali.

L’autore non vuole dare il senso del luogo, perché la visione del mondo e della cultura che concepisce è totale, unita. Pur riconoscendo, talvolta, la scansione temporale degli eventi, egli tende sempre a osservarli e presentarli con quel tipico colpo di frusta verbale, che il passato prossimo gli permette[1]. Infatti una delle intenzione del libro è fotografare e testimoniare il mondo, che è il prodotto della mentalità inerte dell’uomo medio, incentivata da chi su di essa specula.

Al lassismo e all’inerzia generale, Acconcia non oppone quella che potrebbe sembrare una fuga, ma un distacco, un passo indietro da essa. Presa di posizione che permette tanto di strutturare minuziosamente la sua visione, quanto di opporre una figura di intellettuale solitario che, presa coscienza del degrado generale, da esso decide di accomiatarsi. Non tanto perché egli è come chi oppone Apolidia, ovvero refrattario a voler crearsi un posto nel mondo - cioè la croce e tomba del massificato medio che Acconcia lucidamente sembra delineare - ma, se mai, il contrario. La figura che Acconcia oppone è quella di un intellettuale itinerante che oltrepassa le barriere geografiche tanto quanto quelle culturali, non accontentandosi di soluzioni semplificatrici e riduttrici, ma abbracciando la complessità intrinseca del mondo in cui vive e che è cosciente di vivere nella sua pienezza. In questo senso la sovrapposizione non solo di eventi, ma anche di personaggi, è espediente letterario volto a mettere ogni cosa sullo stesso piano, riportandolo se non al presente almeno al passato più prossimo. Questa sovrapposizione, con molta probabilità, investe anche momenti autobiografici e luoghi, che qua e la affiorano lungo tutto il libro, il quale acquista valenza di testimonianza del percorso geografico e mentale compiuto e da compiere.
Ora si può comprendere come le varie citazioni che percorrono tutto il libro non siano meri vanti eruditi, ma sono le tracce di quella volontà che cerca di oltrepassare la piccola recinzione del pensiero settoriale, cercando di far confluire tutto in una visione totale, rifuggendo tuttavia da imporre soluzioni olistiche. L’autore cerca di restituire il “mondo” rispettandone la molteplice e intrinseca complessità senza imporre su di esso semplificazioni ingenue che contradirebbero la sua critica. Infatti egli invita, indirettamente, alla ricerca e alla scoperta guidati dalla fame di nuovo[2]. Ovviamente lungo il libro vengono trattati altri temi: come la fallace comunicazione di certo giornalismo[3]; come le paternità letterarie (e non)[4] oltre al citazionismo diffuso, ma credo che questa molteplicità abbia come sfondo e struttura la ratio fin qui enunciata.
Il Libro di Acconcia non vuole essere solo un libro di denuncia, ma è anche un libro che esorta a vivere e a conoscere, anzitutto, portando in campo la propria esperienza.

La matrice tolstoiana:

Come si evince da questa mia primaria ricognizione: la tendenza a rappresentare la molteplicità della vita e del mondo, la tendenza a svalutare e annichilire il pensiero dell’uomo ordinario[5], sono di matrice evidentemente tolstoiana. In queste matrici fondamentali, Acconcia inserisce la propria necessità di oltrepassare le barriere, come si è detto, di un pensiero settoriale e diviso inserendo così, nella suddetta teoresi, il proprio ritratto di intellettuale-poeta itinerante che cerca di destare il prossimo da un deleterio torpore fatto di inconsapevolezza, esplicando così il proprio servizio all’umanità[6]. È necessario sottolineare che, questo servizio, per Acconcia, non sembra direttamente legato alla tensione cristiana in cui sfocia l’elaborazione di Tolstoj. Il servizio del Nostro pare abbia un intenzione laica. In questo senso, come si è già ribadito, si oppone la figura dell’intellettuale itinerante la cui necessità primaria è quello di viaggiare per conoscere e per comprendere il mondo, spinto costantemente da una fame di nuovo, che costituisce nucleo emotivo della figura sopraddetta. Così Acconcia sente la necessità di fondare, non solo, esistenzialmente il suo viaggiare, ma anche, per così dire, eticamente nel momento in cui struttura la figura dell’intellettuale ed esorta a vivere coerentemente ad essa.

L’intento di Acconcia non vuole essere, dunque, unicamente polemico, ma offrire una valida alternativa al, chiamiamolo così, sentire comune. Se egli veda l’arte come metodo di redenzione totale dell’essere umano, come il suo maestro, non è chiaro, ma è probabile che lo percepisca come modo “incontaminato” di esprimersi, attraverso il quale si può veicolare un esperienza genuina in cui è possibile “risvegliare” il prossimo, o aiutarlo a liberarsi. Perché, per l’autore, non si tratta più tanto di sopprimere la violenza[7] incardinando, attraverso l’arte, l’amore nell’essere umano, ma si tratta, se mai, di svegliarlo da uno stato di incosciente torpore.

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[1] Cfr. Pauk Kulturi pg.39
[2] Cfr. Fame di Nuovo pg. 49
[3] Cfr Non inciampare nei giornali pg. 62
[4] Cfr. Non ho letto Saint John Perse pg. 23
[5] Cfr. Cianfrusaglie pg. 60
[6] L’unico senso della vita è di servire l’umanità, concorrendo allo stabilimento del regno di Dio […]. Cfr. il regno di Dio è in voi
[7] Cfr. Lev N. Tolstoj, che cos’è l’arte? Liberi Tutti - Acconcia


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Giuseppe Acconcia, corrispondente dal Medio Oriente e ricercatore per l'Università di Londra  (Goldsmiths) e Bocconi. Firma del Manifesto, ha lavorato anche per The Independent, Le Monde diplomatique e Rai. Vincitore del premio Giornalisti del Mediterraneo 2013, ha pubblicato saggi tra gli altri con Palgrave, Il Mulino e The International Spectator.
È autore de Il grande Iran (Exorma, 2016), Liberi tutti (Oedipus, 2015), Egitto democrazia militare (Exòrma, 2014), La primavera egiziana (Infinito, 2012) e Un inverno di due giorni (Fara, 2007).



Luca Cenacchi nasce a Forlì nel 1990. Ha scritto prefazioni a raccolte di versi e redige la rubrica di poesia contemporanea Gli Specchi Critici in collaborazione con i blog FaraPoesia, Kerberos Bookstore e L’arcolaio (Forlì). L'articolo su Vito Santoliquido è apparso come contributo sul blog di letteratura e cultura Poetarum Silva e collabora col centro culturale l'Ortica con contributi critici. Sue poesie sono apparse in antologie fra cui La mia sfida al male (Fara 2016). Nel 2016 è stato giudice presso il concorso Faraexcelsoir 2016.

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